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Calcio

Serie A, in campo solo per salvare i soldi delle TV. Il calcio è altra cosa

Volli, e sempre volli, e fortissimamente volli. Il motto di Vittorio Alfieri, che rimanda alla richiesta fatta al suo domestico di legarlo alla sedia fin quando non avesse tirato fuori qualcosa da autore tragico, è adattabilissimo anche alla nostra serie A. Figc, Lega, presidenti dei club, governo: oddio, nessuno si è fatto legare a una sedia per trovare una soluzione. Lo sforzo prodotto però è stato massimo, et voilà. Riattizzatosi ormai da settimane, il calcio italiano il 20 giugno prossimo riprenderà il gran ballo. Grande quanto, lo vedremo: non sarà di sicuro un valzer regale, né uno scoppiettante giro di flamenco. Forse forse, neppure una mazurca di periferia “alla Casadei”.

La Serie A riparte causa legittima pecunia

Partiamo da un presupposto: ripartire è una scelta legittima, e per certi versi sacrosanta. Ci sono da preservare le casse di un mastodonte che in caso contrario rischierebbe di venire giù. In Francia, dove si sono fermati anzitempo, il rimpianto è incessante. Però bando a ogni ipocrisia: si torna in campo solo ed esclusivamente per salvare i benedetti e tanto discussi soldi delle TV. Altri motivi non ce ne sono. Se non ci fosse sotto ai piedi di tutti la botola del tracollo finanziario pronta ad aprirsi, a nessuno sarebbe venuto in mente di mettere in atto uno degli spettacoli più perversamente mesti che lo sport abbia mai visto.

La libidine sarà poca: più che un sospetto, pare ormai una certezza. Basta salire di qualche parallelo e guardare la Bundesliga: a parte qualche sporadico sussulto, la desolazione in terra crucca regna sovrana. Arene spettrali, giocatori che trotterellano a marce ridotte, emozioni annullate. Quando un portiere riesce ad udire gli urli del suo collega-avversario che difende l’altra porta, l’impressione è che il giochino sia come eviscerato della sua essenza. Per carità, poi c’è chi vede il bicchiere anche mezzo pieno. Ottmar Hitzfield, mister teutonico sulle cui mensole di casa luccicano due Coppe dei Campioni (una targata Borussia Dortmund, l’altra Bayern Monaco), è in brodo di giuggiole. Per lui la Bundesliga al tempo del Covid-19 è tanta roba: senza fattore campo e con meno falli e simulazioni, a suo dire emergono molto di più i valori veri.

Distanziamento, caldo e casi positivi: uno scenario ricco di incognite

Sarà. Il calcio nostrano, nel riprendere, di spaesamenti ne vivrà più d’uno. A metà giugno potrebbe già fare un caldo bruciante. Giocando ogni tre giorni, qualsiasi scenario di fischio d’inizio prima delle ore 18 appare scellerato. A meno che non si voglia ambire ad un torneo ad eliminazione: in quel caso, gli assembramenti che si sono voluti scongiurare sugli spalti rischiamo di ritrovarceli in infermeria. La liturgia della partita, inoltre, verrà ridotta ad un condensato di rigidità. Non ci si potrà abbracciare dopo un gol, e va beh. I giocatori in panchina dovranno stare distanziati, e bere in bottigliette rigorosamente individuali. Negli spogliatoi ci si dovrà cambiare a turni tra titolari, riserve e portieri. Per poi entrare in campo con percorsi diversificati e mascherina. Uno scenario da raccapriccio, insomma.

Che non risparmierà nemmeno i media. I giornalisti ammessi allo stadio saranno una cerchia ristrettissima. Dieci al massimo, con le società costrette a fare figli e figliocci. Le telecamere non potranno andare a spiare ovunque, come accadeva fino ai primi di marzo. Addio a ogni sorta di “mixed zone” e conferenze stampa a distanza con domande trasmesse via WhatsApp. In poche parole, raccontare un incontro sarà quanto di più simile a un’ascesa al Calvario, ma questo è.

Cammineremo tutti su un filo sottilissimo. Col rischio poi che alla fine si debba ricorrere all’obbrobrio chiamato algoritmo. Qualora dovessero spuntare come funghi positività qua e là, si passerebbe a un piano B con playoff e playout fissati su basi ancora fumose. Se invece la faccenda dovesse farsi insostenibile, si ricorrerà a questo cervellotico calcolo matematico che terrà conto di “indicatori oggettivi”. Una prece. Ribadiamo: il calcio è un’altra cosa, ma ricominciare è comunque giusto.

Anche ripensarsi un attimino, però, sarebbe consigliabile. Se questo mese e mezzo di gioco all’insegna della mestizia dovesse far da stimolo per ridisegnare un po’ tutto il mondo del pallone, beh, pronti a sorbettarcelo. Ma sarà davvero vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza.

Valerio Mingarelli

Nato a Fabriano, ai piedi degli Appennini, nel 1980. Ho iniziato a “gattonare” nelle testate locali umbre e marchigiane grazie al basket e al calcio. Giornalista professionista dal 2008, da allora tra Milano e Roma ho sempre fatto il viandante dell’informazione girovagando per radio, TV, quotidiani, agenzie e uffici stampa. Con la penna o col microfono in mano, mi sono sempre divertito da matti. Oggi seguo perlopiù le vicende del Parlamento nostrano, ma lo sport rimane sempre una passionaccia elettrizzante.

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