Alé, rieccoci. Settima settimana di detenzione: per evitare di sprofondare nel tunnel degli ansiolitici, c’hanno tolto persino il funereo bollettino delle sei. Ormai persino infornare una quiche con dentro tutto il commestibile del creato, dalla salsiccia alla marmellata di fichi, è una rottura di zebedei che dopo un po’ anche basta. Così non resta che abbandonarsi alle perversioni. Come, ad esempio, tentare di capire come la serie A possa chiudere la stagione senza evitare colossali figure di merda, ormai considerate inesorabili come le gaffes di Trump.
Sette giorni fa c’eravamo lasciati con i due schieramenti paralizzati nelle rispettive metà campo. Oltranzisti della ripartenza contro “benaltristi” dell’emergenza, l’un contro l’altro armati. E non pare cambiato granché. Il virologo Rezza ormai sembra il supplente che deve tenere a bada la classe di scalmanati ripetenti: più raccomanda prudenza, più gli addetti ai lavori del calcio partono con la gara a chi la fa più lontano (e quasi tutti fuori dalla tazza).
Nel frattempo, registriamo botte da orbi tra Gravina e Malagò: i due hanno preso a darsele peggio di Alì e Frazier a Manila nel ’75. Il timoniere della Figc ha dichiarato di non voler essere “il becchino del calcio italiano”. La verità è che sente già le campane che suonano a morto, si dimena, si strugge, monta e smonta protocolli, vademecum e bozze di road map. Una cosa concreta l’ha fatta: ha spostato la linea d’arrivo della stagione al 2 agosto. In parole povere: il traguardo c’è, ora ci sta da fare il tracciato. Il Ducaconte del Coni, invece, continua a cannoneggiare. Nelle segrete e lussureggianti stanze della sua quarantena, vien da pensare che spari pistolettate ad aria compressa ai pupetti del Subbuteo, tanto ce l’ha col pallone nostrano. Dice che se il calcio ha preso decisioni diverse da tutti gli altri sport, un motivo c’è. Gli andrebbe ricordato, perché lo sa benissimo, che i motivi in realtà sono più di uno. E hanno a fianco svariati zeri.
In questa baraonda, si cercano spunti altrove. Nella convinzione tutta italiana che tanto, gira e rigira, l’erba del vicino è sempre più verde. Dire “signori, è stato un piacere: ne riparliamo a settembre” come hanno fatto gli olandesi? Naaa. L’esempio da seguire è quello della “Crante Cermania”.
I “teteschi”, si sa, non improvvisano mai. Neanche nel cabaret. Quindi, con 41 granitiche pagine di protocollo, si preparano a tornare in campo già a metà maggio. Per chiudere la Bundesliga, 20 mila tamponi: più di quanti ne ha fatti da noi la Sardegna per i civili. Rigidità ferree: distanziamento in panchina (uno seduto ogni tre posti: praticamente copriranno tutta la linea laterale) e persino in spogliatoio (qualcuno finirà a lavarsi a pezzi nei bagni in tribuna). Stop alle foto di squadra. Controlli militarizzati per tutti gli addetti ai lavori in tribuna e a bordocampo, con mascherina e guanti tassativi (ma arrivare allo scafandro è un attimo).
Nei ritiri regole marziali. Isolamenti stile “Overlook hotel” di Shining, temperatura misurata a tutti ogni tre ore, fiaschi di Amuchina ovunque, ambienti sanificati ogni mezza giornata (in pratica passeranno le donne delle pulizie coi fucili a vapore). Andando oltre, si sconfina nell’epica. I giocatori dovranno mettersi a lavare gli indumenti da soli senza coinvolgere lo staff (è fantastico immaginare Lewandoswki e Neuer tra bocce di ammorbidente e fogli acchiappacolore). I centri benessere saranno off-limits (per chi trasgredisce, notte nel bagno turco immerso in uno scrub alla fragranza di crauto). Non si potranno toccare maniglie, porte e scorrimano (pena amputazioni metacarpali). Il cibo dovrà essere servito solo da selezionati membri del club (in caso contrario, lavanda gastrica immediata per tutti).
Tornando seri. In Germania il Covid-19 ha avuto un impatto modesto, anche grazie all’efficienza cronica di quel sistema-paese. Un lockdown reale, là, non c’è stato. Pertanto, è fiabesco anche solo pensare che il nostro calcio possa emulare quello loro. Noi ancora non sappiamo quante persone schiaffare in un autobus nell’ora di punta, a partire dal 4 maggio. Pensare a calendari “certi” da qui al 2 agosto, beh, è roba da TSO.
La serie A ha tutto il diritto di provarci. E considerando a quanta gente dà il pane, anche il dovere. Ma ormai è lapalissiano: urge pensare a un piano B. Partire tanto per partire, tra impacci tragicomici e figuracce, rischia di essere l’harakiri definitivo per tutto il movimento. Soprattutto mentre il paese arranca.