Se il calcio non si fosse chiamato così, avrebbe dovuto essere denominato Pelé. Il pensiero dello scrittore brasiliano Jorge Amado è anche quello di 200 milioni suoi connazionali, che da giorni celebrano l’ottantesimo compleanno del simbolo del futebol. Edson Arantes Do Nascimiento (come si chiamava prima di diventare il bisillabo più famoso dello sport) è nato infatti a Tres Coracoes il 23 ottobre 1940. In una vita da copertina ha regalato sogni e record. Bastino questi: unico calciatore a vincere tre mondiali e 1279 reti segnate in carriera.
Per lui si sono sprecate le iperboli. Atleta del secolo (assegnato dal Cio nel 1999), calciatore del secolo (ex aequo con Maradona, che gli anni, 60, li compie il 30 di questo mese). O Rei è stato, ed è tuttora con Muhammad Alì, l’atleta più celebre della storia; famoso anche nei punti più remoti del pianeta. Nessun altro sportivo ha avuto più spettatori di lui e la sua faccia è ancora, molti anni dopo il suo ritiro, tra le più popolari del mondo. “Sono conosciuto più di Gesù Cristo”, disse anni fa in un’intervista. Una frase che gli attirò critiche: “anche se è una cosa blasfema”, spiegò, “c’è una logica. Io sono cattolico, e so cosa significhi Gesù con i suoi valori. Ma nel mondo è pieno di gente che crede in altro: in Asia, ad esempio, ci sono centinaia di milioni di buddisti. Magari non sanno chi è Cristo, ma di Pelé hanno sentito parlare…”.
La carriera di Pelé e la rivalità con Maradona
Quando aveva 20 anni in Brasile venne dichiarato “tesoro nazionale”, e fu quindi proibita la sua cessione all’estero. Ci rimase male l’allora presidente dell’Inter, Angelo Moratti, che sognava di portarlo in nerazzurro dal Santos e gli aveva fatto offerte molto serie. L’Italia fu anche il primo Paese straniero visitato da Pelé, nel 1958 quando il Brasile si fermò per due amichevoli sulla strada verso i Mondiali di Svezia, ma il timidissimo ragazzino 17enne già stella del Santos (squadra dove militò per 18 anni) non poté giocare contro Inter e Fiorentina in quanto infortunato.
Nel mondo c’è anche gente che crede che Diego Armando Maradona gli sia stato superiore. “Falso”, rispose in quell’intervista. “Basta guardare i fatti. Sapete quanti gol di testa ha segnato Diego? Ve lo dico io, nessuno: Pelé cento. E di destro? In tutto io ho segnato 1.281 reti, vi dice niente questo dato? Il problema è che gli argentini non si rassegnano, mi hanno contrapposto prima Di Stefano, quindi Sivori, poi Maradona. Prendano atto del fatto che comunque io valgo più di tutti e tre”.
Non solo calcio, ma anche arte, musica e cinema
È stato intervistato e fotografato più di qualsiasi altra persona: statisti, divi del cinema e tycoon vari. È stato accolto da ‘Re’ in 88 nazioni, e ricevuto da 70 premier, 40 capi di Stato e tre Papi. In Nigeria venne dichiarata una tregua di 48 ore ai tempi della guerra con il Biafra perché tutti, da entrambi gli schieramenti, potessero vederlo giocare. Pelé è stato immortalato da Andy Warhol nella galleria dei suoi ritratti. Baurù, la città brasiliana dove cominciò a giocare, gli ha dedicato una statua che produrrebbe miracoli (c’è chi sostiene di essere guarito toccandola): cento canzoni (due le incise lui stesso) narrano la sua leggenda. Ma a ben pensarci tutte insieme non lo raccontano come fa il gesto plastico della rovesciata nel film Fuga per la vittoria.
Anche adesso che è ridotto in sedia a rotelle e ha perso tanti dei quei sorrisi che avevano fatto innamorare il mondo di pari passo con i suoi gol, in Brasile rimane il Mito. Quello per cui scrivono ancora sui muri “Grazie di essere nato”. Il calciatore di cui, garantiscono con un’unanimità altrimenti impensabile dalle spiagge di Copacabana ai palazzetti coloniali di Salvador de Bahia, si parlerà anche nei secoli a venire come del ‘Rei’ del calcio. Gli argentini si rassegnino.