Il conto alla rovescia è ufficialmente terminato: le Paralimpiadi di Tokyo 2020 stanno per aver inizio. Il cielo sopra lo Stadio Olimpico di Tokyo è sferzato dai fuochi d’artificio, mentre la prima delegazione di atleti sfila sotto lo sguardo attento dell’imperatore Naruhito. A tenere alta la bandiera è Mohammad Abbas Kharimi, paratleta del nuoto afghano, nato a Kabul, simbolo del dramma afghano, nonché voce della delegazione paralimpica di rifugiati. Si tratta della prima squadra ufficiale di rifugiati a partecipare ai Giochi Paralimpici.
Sei atleti rifugiati provenienti da quattro paesi di accoglienza che competono in cinque sport paralimpici. La squadra più coraggiosa del mondo rappresenta oltre 82 milioni di persone in tutto il mondo che sono state costrette a fuggire da guerre, persecuzioni e violazioni dei diritti umani, 12 milioni delle quali vivono con una disabilità. A guidare gli atleti rifugiati è Ileana Rodriguez, una rifugiata cubana che ha gareggiato ai Giochi Paralimpici di Londra 2012 per gli Stati Uniti.
Tra di loro c’è la prima donna paratleta rifugiata, il membro più giovane della squadra. Si chiama Alia Issa, ha 20 anni, è di origine siriana e vive in Grecia. Gareggerà nel lancio della clava, una specialità riservata agli atleti che non possono impugnare il giavellotto, il peso o il disco.
Il portabandiera è il nuotatore Abbas Karimi, un rifugiato afghano che ora vive a Fort Lauderdale negli Stati Uniti. Karimi è nato senza entrambe le braccia, e a causa di questa disabilità e della sua appartenenza etnica ha subito discriminazioni nel suo paese di origine. Per questo è fuggito in Turchia, dove ha vissuto per quattro anni come rifugiato prima di essere reinsediato negli Stati Uniti.
Shahrad Nasajpour è stato il secondo membro della squadra paralimpica indipendente di Rio e gareggerà nuovamente nel lancio del disco a Tokyo. Nato in Iran con paralisi cerebrale, ha iniziato a giocare a ping pong prima di passare alla para-atletica. Dopo essersi trasferito negli Stati Uniti nel 2015, ha contattato l’IPC proponendo di istituire una squadra di rifugiati per Rio.
Anche Ibrahim al Hussein, originario della Siria, aspira a conquistare una medaglia nel nuoto. Hussein ha partecipato alle Paralimpiadi di Rio nel 2016 come membro della prima squadra paralimpica rifugiati indipendente, allora composta da due soli atleti. A Ibrahim è stata amputata la gamba destra sotto il ginocchio, dopo essere stato coinvolto nell’esplosione di una bomba, mentre cercava di aiutare un amico ferito in Siria.
L’altro atleta siriano è Anas Al Khalifa, che nel 2015 ha attraversato la Turchia ed è fuggito in Germania. Lavorava come installatore di pannelli solari, ma nel 2018, ha riportato una lesione al midollo spinale a causa di una caduta da un edificio di due piani. Poco più di un anno fa, il suo fisioterapista lo ha incoraggiato a praticare canottaggio e grazie alla sua costanza nell’allenarsi Anas ha fatto notevoli progressi.
L’ultimo componente della squadra è Parfait Hakizimana, giunto a Tokyo dal campo per rifugiati di Mahama in Ruanda, dove vive da quando è fuggito dai conflitti scoppiati in Burundi. Dopo aver perso la maggior parte del braccio sinistro all’età di 6 anni durante un attacco in cui sua madre ha perso la vita, ha iniziato a praticare il taekwondo e ora gareggia a livello internazionale.
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