Usa e UK contro Marcell Jacobs:
quanto rosicano per il nostro oro

L’uomo da copertina delle Olimpiadi di Tokyo 2020 è italiano. Si tratta di Marcell Jacobs, vincitore della finale dei 100 metri piani e conquistatore dunque della medaglia più prestigiosa di tutti i Giochi. E se il ragazzone nato in Texas ma cresciuto a Desenzano del Garda è divenuto un eroe nazionale tra i nostri confini, qualcuno ha preso il suo trionfo decisamente peggio. In particolare negli Stati Uniti che gli hanno dato i natali, ma anche in Gran Bretagna.

Il ‘Mirror’ e i “100 metri di Google”

Sta facendo infatti enormemente discutere l’analisi del ‘Daily Mirror sulla fatidica finale dei 100 metri a Tokyo 2020. “I 100 metri di Google“, è il titolo scelto per il commento della gara. E i motivi delle recriminazioni dell’autore dell’articolo, Andy Dunn, partono da un dato incontrovertibile. Ossia la sacrosanta squalifica di Zharnel Hughes, speranza del popolo albionico estromesso dalla lotta alle medaglie per una falsa partenza.

Per gentile concessione della sua falsa partenza, Hughes era assente in quello che da sempre è l’evento clou dei Giochi Olimpici“, inizia Dunn sul ‘Mirror‘. Primo livello di rosicamento. Quindi si aggrappa a una notizia vecchia di quattro anni (pure sottolineandolo), l’assenza del re dei 100 metri. “Mancava però anche un certo Usain Bolt. Il mondo sapeva da molto, molto tempo che Bolt non ci sarebbe stato a Tokyo 2020. D’altra parte si è ritirato dallo sprint nel 2017“. Secondo livello di rosicamento. Manca il terzo, con l’apoteosi: “Quando gli atleti si sono sistemati sui blocchi, l’assenza di Bolt è sembrata ancora più grave. Con tutto il rispetto per l’eccezionale Marcell Jacobs, questa è stata la finale di Google“.

In altre parole, secondo l’autore del ‘Daily Mirror‘, la gara più attesa di Tokyo 2020 è stata vinta da uno sconosciuto contro degli sconosciuti. Tanto da rendere necessario visitare Google per scoprirne l’identità. Peccato che non sia così. Jacobs, infatti, ha battuto tra gli altri il canadese Andre De Grasse, che a Rio 2016 di medaglie se n’è prese tre. In corsia c’era anche Su Bingtian, quarto a Rio in staffetta ma argento mondiale nel 2015. E anche Fred Kerley e Ronnie Baker, grandi speranze dell’atletica Usa. Non certo gli ultimi arrivati.

Dagli States l’accusa (senza prove) a Jacobs

E altre recriminazioni, ben più gravi, sono arrivate proprio dagli Usa. Ossia “l’altra terra” di Marcell, che però ha rinunciato alla cittadinanza statunitense già dal 2015. E gli States, che non vincono i 100 metri dal 2004 (Justin Gatlin), evidentemente non hanno saputo darsi una spiegazione di un exploit italiano. Tanto da adombrare, peraltro tramite una testata autorevole come il ‘Washington Post, un dubbio atroce. Quanto ingiustificabile, in assenza di prove: Jacobs dopato.

Il campione olimpico di Tokyo 2020 viene addirittura definito “Obscure Italian from Texas“, alimentando ulteriormente una presunta opacità intorno alla sua figura. Quindi l’attacco, con tanto di furbetta presa di distanza. Che sa tanto di chi lancia il sasso, anzi il macigno, e poi ritrae la mano galeotta e con l’altra indica tutto intorno a sé. “Sarebbe ingiusto accusare Jacobs – si legge sul quotidiano, a margine però di un’accusa bella e buona. A lui va dato il beneficio del dubbio. Ma all’atletica no“.

Quindi eccola, l’accusa: “La storia recente dell’atletica mondiale è disseminata di campioni pop up. Che si sono però in seguito rivelati imbroglioni con il doping“. Segue una ulteriore presa di distanza del ‘Washington Post‘ da se stesso, senza però cambiare linea: “Non è colpa di Jacobs se la storia dell’atletica leggera fa sospettare per i miglioramenti così improvvisi e così enormi“. Da qui, però, a sollevare illazioni senza una prova alcuna ce ne passa. E non ci sono rosicamenti che tengano.

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