Dall’inizio della pandemia da Coronavirus ad oggi, il mondo dello spettacolo, con un particolare riferimento agli eventi dal vivo, è uno dei più colpiti dalla crisi che sta investendo diversi settori del nostro Paese. La crisi non ha portato solo ad un importante calo del fatturato, ma anche alla perdita del lavoro per moltissimi lavoratori del settore, che si sono ritrovati così con poche certezze e molti dubbi.
Sebbene in Italia si stia provando a far ripartire il settore, attraverso nuovi modi di fruire la musica, come gli eventi live in streaming, la strada è ancora lunga e piuttosto tortuosa.
Abbiamo raggiunto telefonicamente Vincenzo Spera, presidenze di Assomusica, associazione che rappresenta gli organizzatori di musica dal vivo nel nostro Paese, per confrontarci con lui sulla crisi del settore e sulle possibili modalità per la ripartenza.
Presidente Spera, com’è cambiata la situazione con l’arrivo della pandemia?
Credo sia abbastanza evidente a tutti che il settore si è completamente fermato. Dal 28 febbraio l’attività della musica dal vivo ha avuto un calo di fatturato intorno al 97%. Può capire quindi com’è complicata la situazione.
Questo ovviamente porta a tutta una serie di nuove modalità di cui, quando si riprenderà, bisognerà assolutamente tenere conto.
Proprio a proposito delle nuove modalità, alcuni eventi live per il 2021 sono già stati cancellati e a questo punto si dovrà pensare ad un nuovo calendario per i concerti e a modalità di fruizione diverse, come ad esempio i live in streaming.
Intanto, stiamo parlando di concerti che sarebbero stati svolti con le modalità dei live pre covid, cosa che adesso ovviamente è impensabile. Comunque, per questo tipo di eventi si sta ancora cercando di capire che tipo di riapertura ci sarà. Probabilmente molti eventi saranno spostati ancora. È evidente che quella modalità di spettacolo non può essere rappresentata in streaming per tutta una serie di motivi.
Mi può fare qualche esempio?
Basta pensare ad un concerto a San Siro o a Campo Volo. Farlo in streaming sarebbe davvero complicato da gestire.
Presidente Spera, durante il suo intervento alla Milano Music Week, sempre in riferimento agli eventi live, ha parlato di innovazione. A cosa faceva riferimento?
Quando ho parlato di innovazione facevo riferimento a delle modalità di fruizione che non dovranno necessariamente andare verso lo streaming. Si dovrebbe invece ragione su modalità che portino ad una crossmedialità. Questo si può avere se i vari settori collaborano tra loro e lavorano su nuove forme di spettacolo, più trasversali, che vedano sinergia tra i vari mondi. Insomma, una nuova modalità di rappresentare, tenendo conto anche dello sviluppo tecnologico. Se pensiamo che negli ultimi anni sono stati fatti concerti di artisti che non ci sono più attraverso degli ologrammi… La cosa fondamentale è che in questo momento non bisogna essere individualisti, ma lavorare insieme e fare gioco di squadra.
Sempre durante il suo intervento ha parlato delle cifre che sono state stanziate dalle istituzioni per il settore. A fronte di una liquidità piuttosto elevata, per il settore della musica sono stati stanziati circa 40 milioni, una piccola fetta di questi fondi. Perché, secondo lei? Nel nostro Paese si fa ancora fatica a capire quale sia l’importanza del settore?
Assolutamente sì. Questo perché non c’era una conoscenza reale della vastità del settore. Non si aveva la reale percezione di quanti fossero i soggetti implicati, di come fosse strutturata e composta la filiera di questo settore.
Il Coronavirus ha messo proprio in evidenza quella che è la varietà della quale è composta questa filiera. Non esistono solo gli artisti, ma anche tutti i lavoratori dello spettacolo che purtroppo sono stati invisibili per tantissimo tempo.
La crisi del mondo dello spettacolo, Presidente Spera, è stata anche territoriale, giusto?
Sì, perché ci sono dei territori che movimentano pubblico da tutte le parti d’Italia. A Milano, mediamente, ogni anno portiamo per gli eventi live un milione e mezzo di persone. Stessa cosa per Verona. Negli ultimi anni mediamente abbiamo portato 600mila persone ai concerti all’Arena. Quindi, ecco, c’è un grosso indotto che ne trae beneficio, parliamo di qualcosa come due miliardi. È più meno il triplo del fatturato da biglietteria. Questo è il dato economico. Sul dato emozionale c’è poco da discutere
Tornando a parlare della filiera, Bauli in Piazza ha portato l’attenzione sul settore avendo come primo interlocutore le istituzioni. Quello che però hanno fatto è stato anche far capire al pubblico che non esistono solo gli artisti. Tanti hanno capito qual era il problema?
Bauli in Piazza ha portato all’attenzione di tutti un elemento importante: senza i lavoratori dello spettacolo non ci sarebbero gli eventi live. Tra l’altro, questo è uno dei pochi lavori in cui nessuno può permettersi di dire: “Ma sì, te lo do domani”. Perché si lavora con estremo rigore e con ritmi serratissimi. Non esiste rimandare, non esiste “lo faccio dopo”
Quella che manca forse è una conoscenza del “modo di operare” dei lavoratori del mondo dello spettacolo
Sì, perché la mentalità di chi lavora in questo settore è sconosciuta ai più. I lavoratori del settore non sono extraterrestri, però. Per la maggior parte del pubblico queste figure sono venute “allo scoperto” solo adesso, anche se ci sono sempre state.
Tanti non ci pensano, ma qualcuno si sarà chiesto: “ma com’è possibile che in tre giorni a San Siro montino un palco del genere?”. Ecco, Bauli in Piazza l’ha fatta diventare la domanda di tanti, invece che di pochi.
Quindi, Presidente Spera, quella del 10 ottobre scorso è stata una manifestazione importante per tutta la filiera?
Sì, perché è servita a portare all’attenzione di tutti, per l’ennesima volta e con tanta determinazione, il problema e l’importanza di chi lavora in questo settore.
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