Il 24 febbraio scorso, a causa della pandemia da Covid-19, il settore dello spettacolo si è completamente fermato. Da quel giorno sono passati più di 9 mesi. Se il periodo del lockdown nazionale ha portato ad una assenza totale di eventi live, durante il periodo estivo, quello compreso tra giugno e settembre, qualche evento c’è stato. I luoghi della musica, in particolare, sono tornati a vivere e ad essere riempiti dalla componente fondamentale che tiene in vita questo settore: le persone.
Non solo il pubblico pagante, che è tornato a “riempire”, con nuove capienze e regole, gli spazi, ma anche gli artisti e i lavoratori del settore.
Fonici, facchini, addetti alle luci e tantissimi altri. Quelli che chiamiamo “addetti ai lavori“. Quei lavoratori “invisibili” ai più, senza i quali però i concerti, e gli eventi del mondo dello spettacolo in generale, non potrebbero esistere.
È stato bello finché è durato, però. Perché a partire dal 3 novembre, con l’entrata in vigore del Dpcm, firmato dal premier Giuseppe Conte, il mondo dello spettacolo è tornato a fermarsi di nuovo.
I luoghi sono tornati silenziosi, le persone hanno smesso di popolarli e gli addetti ai lavori sono ripiombati, anche se in realtà non ne sono mai usciti, nell’incertezza per il futuro. Quando si potrà tornare a fare eventi live? E quali saranno le modalità?
È parso chiaro a tutti che 1000 persone negli spazi aperti e 200 persone in quelli chiusi non bastano. Ogni spazio ha le sue esigenze, la sua capienza e il suo modo di essere vissuto.
“Dal 28 febbraio ad oggi è stato registrato un calo del fatturato del 97%”, ci ha spiegato Vincenzo Spera, Presidente di Assomusica. Una perdita importante, destinata ad aumentare se non si farà qualcosa per tornare alla “normalità” e per riavviare un settore, gravemente colpito dalla crisi dovuta alla pandemia da Coronavirus.
Tra gli addetti ai lavori non ci sono solo coloro che lavorano strettamente nella realizzazione degli eventi live. Ci sono anche le etichette discografiche e gli uffici stampa. Due realtà che hanno continuato a lavorare durante tutto il periodo della pandemia, lockdown compreso, perché il lavoro non si poteva fermare.
“Il lavoro in sé e per sé non è cambiato, ma ci sono state cose che non si sono potute fare, oltre alle difficoltà e dei problemi economici”, ha raccontato Sara Colantonio, A&R e fondatrice dell’etichetta indipendente Bassa Fedeltà.
“Abbiamo sempre lavorato con pc e cellulare, in un certo senso avevamo già a che fare con lo smart working”, ha spiegato Giulia Caci, co-founder e manager della sezione Pr & Press di Loud Promotion.
“In un certo senso è cambiato tutto, ma non è cambiato nulla”, ha detto Cristiana Lapresa, founder e promotion manager di Homerun Promotion. “La mia attività si è sempre svolta con computer e telefono. Faccio smartworking per mia scelta e durante il lockdown mi sono concentrata di più, non potendo spostarmi da casa”.
Se marzo e aprile, come ha fatto notare Giulia Caci, sono stati mesi “silenziosi”, in cui usciva meno musica e spesso le pubblicazioni degli album venivano rimandate, da settembre c’è stata la tendenza inversa. “C’è stato quasi un sovraccarico di uscite. Tutti avevano rimandato a settembre/ottobre e c’erano davvero tantissime cose da fare, è stato un lavoro piuttosto impegnativo”. Inoltre, è stato sempre più difficile lavorare sugli emergenti, perché gli spazi sui giornali erano sempre più limitati. “Sui media non si parlava di musica. È comprensibile, c’erano cose più urgenti di cui parlare”, ha spiegato Giulia.
“È stato davvero difficile registrare i singoli e fare promozione. A maggio dovevamo registrare un brano di un cantante e non è stato possibile. Questo ci ha costretto a far slittare tutto ai primi di novembre, subito prima che richiudessero tutto. Siamo stati fortunati, perché siamo riusciti a far finire tutto prima che la Toscana diventasse zona rossa”, ha raccontato Sara.
Sara ha poi confermato le parole di Giulia: nel periodo del primo lockdown è sicuramente uscita meno musica, ma come fa notare, c’era di mezzo anche la questione “emozionale”. “Ci sono stati tanti motivi per cui non far uscire i pezzi. Sicuramente c’era anche quello di non voler pubblicare musica gioiosa in un momento in cui stavamo vivendo un dramma”.
Poi, chiaramente, c’era tutta una questione legata al marketing. “Mettere in commercio una canzone che non poteva poi essere promossa in modo adeguato non era l’ideale. Per questo abbiamo aspettato e fatto slittare alcune uscite. Inoltre, mettere fuori qualcosa che non poteva essere seguito da un’attività promozionale, e poi di concerti, equivaleva a bruciare tutto il lavoro”, ha detto la fondatrice di Bassa Fedeltà.
Anche Cristiana ha confermato le difficoltà relative alla promozione e al lavoro con gli artisti. “Inizialmente il nostro lavoro ha avuto un contraccolpo molto forte a causa dell’incertezza economica generata dal Covid, dalla sfiducia generale del periodo e da un blocco dal punto di vista artistico di parecchie iniziative. La grande, grandissima criticità è stata dover ovviare all’impossibilità di frequentare gli eventi dove di solito si sviluppavano diverse opportunità di lavoro“.
Proprio sui concerti poi si è spostata la nostra attenzione. Questo perché, nel nostro Paese, sono stati tantissimi gli artisti, e di conseguenza tutti gli addetti ai lavori, che hanno dovuto rinunciare ad esibirsi dal vivo. Alcuni hanno rinviato le date, fiduciosi e ottimisti, al 2021. Altri, invece, hanno cancellato interi tour.
Nonostante le incertezze, c’è una cosa su cui tutti sono d’accordo: il futuro della musica live non può essere quello dei concerti in streaming.
Nel primo lockdown, come ha fatto notare Sara Colantonio, molti hanno scelto i social per rimanere in contatto con il pubblico e continuare ad esibirsi. “I concerti in streaming in quel periodo erano una novità, ma non ancora una realtà. Non si pensava ad essi come ad una possibilità. Alcuni artisti non volevano neanche farli, per rispetto del momento così grave”.
Un concerto online, però, non è un concerto live. “Non c’è l’emozione del vero concerto”, ha continuato Sara. “E c’è anche un problema economico. Fare un concerto in streaming fatto bene ha, giustamente, dei costi. Il problema è che poi non si riscontra un adeguato guadagno con la vendita dei biglietti”.
“Essendo una grandissima amante degli eventi di musica dal vivo, l’idea di seguire da oggi in poi i concerti solo in modalità live streaming mi innervosisce solo al pensiero“, ha detto la fondatrice di Homerun Promotion. “Devo ammettere però che al momento lo streaming è l’unica soluzione a disposizione per continuare a fruire delle performance di grandi e piccoli artisti, che intanto rinforzano la propria presenza e continua a farsi conoscere e fare musica“.
“I concerti in streaming adesso sono una buona alternativa, in mancaza dei live dal vivo, ma non solo assolutamente la solutazione definitiva” ha spiegato Giulia Caci. “Non sono minimamente paragonabili ai concerti dal vivo. In futuro sarà bellissimo tornare alla normalità, anche se sarà strano, ma davvero, non possiamo credere che gli eventi saranno fruiti attraverso dei computer per sempre“.
Anche Fabio Pazzini, tra i membri fondatori dell’associazione Bauli in Piazza, ha spiegato che i concerti in streaming, ad oggi, sono un palliativo, ma “aprono una nuova fetta di mercato“. Questo peché tutto quello che è digitale, soprattutto per alcuni generi musicali, può creare “degli ibridi”. “Ci stiamo aprendo a delle nuove possibilità, ma il live rimarrà sempre tale, perché dà delle emozioni che lo streaming non è in grado di regalare. Il rapporto umano rimane fondamentale. I concerti non si possono sicuramente fare su Zoom...”.
Riuscire a stare in piedi in un momento del genere non è semplice. Come ha fatto notare Cristiana Lapresa, nonostante le ripartenze estive, è comunque rimasta una sostanziale sfiducia e un incertezza per il futuro. Le istituzioni non hanno fatto abbastanza, fino a questo momento.
Giulia Caci ha racconto di “essersela cavata” e di non aver avuto bisogno di supporto. Non è stato però così per altri attori di questo settore, che nonostante grandi gesti di solidarietà, esterni alle istituzioni, si sono ritrovati a dover trovare soluzioni e nuovi modi per rimanere a galla.
“All’inizio della pandemia c’è stato un collasso dell’intero settore musicale: nessuno era pronto ad una cosa del genere, in primis le istituzioni“, ha detto Cristiana. “Ricordo le parole di Conte rivolte gli ‘artisti che ci fanno tanto divertire’, un dipinto di quello che è, a mio avviso, la percezione della cultura in Italia. Una percezione che di riflesso ha significato milioni di lavoratori del settore lasciati a lungo a domandarsi se e quando avrebbero ricevuto un sostegno“.
Secondo Cristiana, la manifestazione organizzata da Bauli in Piazza a Milano risponde a una semplice domanda: è stata data la giusta importanza al settore? La risposta, secondo lei, è no.
“Gli aiuti sono arrivati dall’interno del settore stesso, con iniziative promosse dagli artisti e dalla associazioni di categoria. Parlo per me: ho dovuto combattere, e non poco, con la burocrazia e ad oggi gli unici aiuti percepiti sono quelli provenienti dalle raccolte fondi e dalle iniziative interne del settore dello spettacolo“.
“Il problema economico c’è, soprattutto per un’etichetta indipendete, che basa grandissima parte dei suoi guadagni sui concerti“, ha spiegato Sara Colantonio. “È stato impossibile guadagnare in questo periodo e il problema si pone soprattutto pensando al futuro. Perché magari quest’anno, grazie ai risparmi e agli utili dell’anno scorso, siamo riusciti a resistere. Ma nel momento in cui il 2020 è stato senza guadagni, la situazione cambia. L’anno prossimo come si produrrà nuova musica? Lo dico in primis per tanti nuovi talenti, che magari abbandoneranno l’idea di fare musica, e ovviamente anche per le etichette. Mi chiedo davvero che offerta ci sarà nei prossimi anni e come faremo a rimanere in piedi“.
Gli aiuti, quindi, non ci sono stati. O almeno, non nelle forme e nella quantità che molti si auspicavano. Sara ha rivolto il suo pensiero ai tutti gli operatori del settore, dalle etichette ai musicisti, dalle agenzie che fanno musica ai lavoratori più umili. Per tutti, gli aiuti non sono stati abbastanza. “Sarebbe bello se ci fossero dei fondi per investire, perché la botta economica è stata forte per tutti gli attori di questo scenario. Se si danno quelli e si accende quella miccia, si potrà rimettere in moto tutto. La filiera dovrebbe ripartire da degli aiuti concreti per tornare a vivere davvero“.
Inoltre, in questi nove mesi, moltissimi spazi hanno chiuso, probabilmente per sempre. Solo a Milano hanno abbassato per sempre le serrande due realtà solide e ben inserite nel panorama degli eventi musicali live: il Circolo Arci Ohibò e il Serraglio. Due realtà storico, che come hanno fatto notare Giulia Caci e Sara Colantonio, erano di vitale importanza per gli artisti emergenti.
“Già per gli emergenti era difficile suonare, perché c’erano tantissimi criteri da rispettare, dal classico ‘quanta gente porti’, perché bisogna sempre ricordare che i locali hanno delle economie. Se prima era difficile, ora che chiudono tantissimi posti sarà un grave problema e io non ho davvero idea di quali potranno essere le alternative“.
“Serraglio e Ohibò erano due realtà storiche di Milano ed erano un gran trampolino di lancio per gli emergenti. Sono due luoghi che ci mancheranno molto e tutto questo si ripercuoterà sul futuro. Erano due spazi necessari per la musica”, ha detto Giulia Caci.
In conclusione, la crisi del settore musicale avrà degli strascichi molto lunghi, che probabilmente ci porteremo dietro per tantissimi anni. Se con il Decreto ristori quater è stata prorogata una nuova indennità una tantum, che ammonterà a 1000 euro, ma tutto questo potrebbe ancora non bastare.
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