La Stazione Spaziale Internazionale, simbolo di collaborazione globale, si avvicina alla fine. Ecco i piani per lo smaltimento
Negli ultimi 26 anni, l’umanità ha superato sfide tecnologiche, logistiche e diplomatiche per costruire e mantenere il più grande oggetto mai posto in orbita terrestre: la Stazione Spaziale Internazionale (ISS).
Questo straordinario laboratorio orbitale, simbolo dell’ingegno umano e della cooperazione internazionale, si avvia però verso la fine della sua vita operativa. Entro il 2030, la ISS diventerà un gigantesco rottame spaziale che richiederà un complesso piano di smaltimento.
Quando non sarà più abitata dagli astronauti, la ISS non potrà continuare a orbitare indefinitamente. Senza interventi regolari, il suo decadimento orbitale – causato dall’attrito con le molecole presenti nella rarefatta atmosfera terrestre – la porterebbe a precipitare lentamente verso la Terra, con il rischio che frammenti possano sopravvivere all’ingresso nell’atmosfera e cadere su zone abitate. Per questo, la sua distruzione controllata è inevitabile.
La NASA prevede di dismantellare la ISS poco dopo il 2030, ma il piano dipende da una delicata rete di collaborazioni internazionali. Attualmente, la Russia, attraverso l’agenzia spaziale Roscosmos, ha garantito supporto fino al 2028. Tuttavia, il deterioramento delle relazioni tra Stati Uniti e Russia, aggravato dalla guerra in Ucraina, sta complicando le trattative per estendere questa collaborazione. Se la Russia si ritirasse prima della data prevista, le altre agenzie coinvolte – ESA, JAXA e CSA – avrebbero difficoltà a gestire autonomamente la manutenzione e le operazioni della ISS.
La ISS è un esempio straordinario di ingegneria modulare. Assemblata dal 1998 a partire da un modulo russo e uno statunitense, oggi la stazione conta 18 moduli collegati tra loro e una struttura esterna che ospita pannelli solari, radiatori e altre apparecchiature. Con una massa superiore alle 400 tonnellate e una lunghezza di 109 metri, la ISS è grande quanto un campo da calcio. Ogni 90 minuti compie un’orbita completa intorno alla Terra, viaggiando a un’altitudine di circa 400 chilometri.
Tuttavia, la ISS non può essere lasciata in orbita a tempo indeterminato. Senza periodiche spinte per correggere la sua traiettoria, il decadimento orbitale la farebbe scendere verso gli strati più densi dell’atmosfera, dove si distruggerebbe parzialmente. Per piccoli satelliti, questo processo è spesso la soluzione ideale, ma la ISS è troppo grande: alcuni suoi frammenti potrebbero sopravvivere al rientro e rappresentare un rischio significativo.
Negli ultimi anni, la NASA ha valutato diverse opzioni per lo smaltimento della ISS. Una possibilità era spostarla in un’orbita più alta, lontana dall’atmosfera terrestre. Questa soluzione avrebbe ridotto il decadimento orbitale, permettendo alla stazione di restare in orbita per secoli. Tuttavia, il costo energetico di un simile spostamento sarebbe elevato e aumenterebbe il rischio di collisioni con altri oggetti spaziali. Tali impatti potrebbero generare nuovi detriti orbitali, aggravando il problema già esistente dei rifiuti spaziali.
Un’altra ipotesi considerata era lo smontaggio della ISS e il ritorno dei suoi moduli sulla Terra per conservarli come pezzi da museo. Tuttavia, smantellare un oggetto così grande in orbita sarebbe estremamente complicato. L’assemblaggio della stazione ha richiesto oltre 30 missioni degli Space Shuttle, che sono stati ritirati nel 2011, e più di 160 attività extraveicolari (le cosiddette “passeggiate spaziali”). Attualmente, non esistono mezzi in grado di recuperare oggetti così voluminosi dall’orbita terrestre.
La soluzione più praticabile resta quindi la distruzione controllata. Il piano della NASA prevede di sfruttare il decadimento orbitale naturale della ISS, intervenendo con i motori dei suoi moduli o delle capsule collegate per regolare la discesa. Tuttavia, la manovra finale richiederà un grande quantitativo di propellente, che la stazione non può gestire autonomamente. Per questo motivo, sarà necessario un veicolo spaziale dedicato, chiamato “US Deorbit Vehicle” (USDV).
Lo scorso giugno, la NASA ha assegnato a SpaceX, l’azienda spaziale privata di Elon Musk, il compito di sviluppare questo veicolo. L’USDV sarà una versione modificata della capsula Dragon, dotata di motori aggiuntivi e una maggiore capacità di carico per il propellente. Il veicolo attraccherà alla ISS utilizzando i meccanismi standard, quindi guiderà la stazione in una traiettoria controllata verso l’atmosfera terrestre.
Durante il rientro, la ISS incontrerà strati densi dell’atmosfera che genereranno temperature di migliaia di gradi. I pannelli solari e altre strutture esterne saranno le prime a cedere, frammentandosi in piccoli pezzi che bruceranno quasi completamente. Anche i moduli principali si distruggeranno, ma alcune parti più dense potrebbero sopravvivere. I frammenti residui saranno indirizzati verso il “punto Nemo”, un’area remota dell’oceano Pacifico lontana da qualsiasi terra emersa. Questo luogo, noto come “cimitero delle astronavi”, è stato scelto per minimizzare i rischi per la popolazione e l’ambiente.
Sebbene sia stata una pietra miliare della collaborazione internazionale, la ISS non avrà una sostituta diretta. I governi preferiscono destinare i fondi risparmiati a nuovi progetti, come le missioni verso la Luna e Marte. Nel frattempo, alcune aziende private stanno sviluppando moduli sperimentali che potrebbero un giorno diventare basi orbitali commerciali.
La fine della Stazione Spaziale Internazionale segnerà la conclusione di un’epoca. Dopo aver orbitato intorno alla Terra per oltre tre decenni e completato quasi 200.000 rivoluzioni, la ISS si trasformerà nella più grande meteora mai realizzata dall’uomo, illuminando il cielo con il suo ultimo viaggio.
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