Etna, perché le eruzioni del vulcano non sono sempre uguali?

Tra i vari vulcani presenti in Italia, l’Etna è uno dei più famosi, soprattutto a causa delle sue eruzioni frequenti. A differenza del Vesuvio e dei Campi Flegrei non è quiescente, bensì attivo ad attività persistente. Ciò significa che le sue eruzioni sono continue o separate da periodi di riposo brevi. L’unico altro vulcano in Italia in possesso di queste caratteristiche è Stromboli. Non tutte le eruzioni dell’Etna sono uguali. Ne esistono di due tipi: esplosive o effusive. Come suggeriscono i nomi, ognuna delle tipologie ha delle precise caratteristiche ed è contraddistinta dall’emissione di materiali differenti. In questo articolo andremo ad approfondire le loro caratteristiche, soffermandoci anche su alcune caratteristiche più generali dell’Etna.

Le caratteristiche dell’Etna

Con i suoi 3.300 metri di altezza, l’Etna è il vulcano più grande d’Europa. È situato lungo la costa orientale della Sicilia e occupa uno spazio di circa 1250 km². Nella parte sommitale dell’edifico vulcanico presenta quattro bocche eruttive, a cui sono state assegnati i nomi Bocca Nuova, Cratere di nord-est, Cratere di sud-est e Voragine. Come accennato, l’Etna è un vulcano attivo e pertanto le sue eruzioni avvengono con una frequenza nettamente maggiore rispetto a quelle dei vulcani quiescenti. L’intervallo tra di esse può variare molto, passando da pochi mesi a vent’anni.

Le eruzioni dell’Etna

Le eruzioni dell’Etna possono essere esplosive o effusive. Nel primo caso si parla di eruzioni con attività di tipo stromboliano, caratterizzata dall’emissione di gas e lapilli dai crateri sommitali o da quelli laterali. Nel caso delle eruzioni effusive, invece, si verifica l’emissione di lava, spesso da una frattura laterale, e la formazione di una colata lavica. Da cosa dipendono queste differenze? La discriminante principale è la composizione del magma. Quando è fluido e povero di gas può fuoriuscire in modo più “tranquillo” e dare origine a una colata lavica. In questo caso si parla di eruzione effusiva. Quando, invece, il magma è viscoso e ricco di gas è più probabile che si verifichi un’eruzione esplosiva. In queste circostanze, infatti, la componente gassosa tende a liberarsi in modo violento, portando con sé brandelli di magma frammentato e blocchi di roccia strappati dal camino vulcanico.

Il pericolo per i centri abitati

Nella maggior parte dei casi l’attività dell’Etna non rappresenta un pericolo per chi abita nelle sue vicinanze. Tuttavia nel corso degli anni non sono mancate delle eruzioni più intense delle altre, che hanno causato dei danni ingenti. Nel 2001 e nel 2002, per esempio, l’attività del vulcano ha devastato varie piste da sci e la funivia. Nel 1981 i materiali prodotti da un’eruzione arrivarono vicinissimi al comune di Randazzo.

Tornando ancora più indietro nel tempo è possibile trovare delle eruzioni che hanno causato enormi danni a dei centri abitati. È il caso, per esempio, di quella del 1928, che devastò quasi del tutto Mascali. Altri comuni messi a dura prova dall’Etna sono stati Linguaglossa (1923) e Belpasso (1910). Nel 1669 un’eruzione, legata a una bocca eruttiva sviluppatasi ad appena 800 metri di quota, raggiunse Catania.

Le cause dell’attività esplosiva

Come spiega l’Osservatorio Etneo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e vulcanologia, l’attività esplosiva dell’Etna è dovuta alla violenta e improvvisa espansione dei gas vulcanici contenuti nel magma, che ne provocano la “frammentazione”. È proprio la composizione del magma a determinare il tipo di attività esplosiva. Quando il contenuto di silice (SiO2) è maggiore del 65% si parla di magmi acidi, più ricchi in gas e maggiormente esplosivi rispetto a quelli con un contenuto di SiO2 minore del 52% (magmi basici). Sia Etna che Stromboli eruttano magmi basici o basaltici.

I prodotti dell’attività esplosiva dell’Etna (piroclastiti) derivano tutti dalla frammentazione del magma. A seconda delle dimensioni dei frammenti si parla di bombe (>64 mm), lapilli (compresi tra 2 e 64 mm) e ceneri (< 2 mm). Nel corso del processo di frammentazione si verifica l’espansione dei gas, che produce delle cavità, note come “vescicole”, all’interno delle piroclastiti. La loro quantità e la loro dimensione permette di dividere ulteriormente i prodotti dell’eruzione in due tipologie: pomici e scorie. Le prime sono solitamente prodotte dal magma acido, hanno un colore chiaro e presentano delle microvescicole. Le scorie, invece, sono prodotte dal magma basico, sono di colore nero e hanno vescicole più grosse.

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