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SCIENZE

Esiste la vita nello Spazio? A rispondere è l’intelligenza artificiale

Se qualcuno entrasse in una stanza e chiedesse di alzare la mano a chiunque non si sia mai domandato almeno una volta se nello Spazio intorno alla Terra esista qualche altra forma di vita, praticamente tutti la terrebbero abbassata.

La domanda “C’è vita nello Spazio?” è, infatti, uno di quei quesiti che ha sempre affascinato l’essere umano e al quale quest’ultimo ha sempre cercato di fornire una risposta.

Ora, a provarci è l’intelligenza artificiale, grazie al lavoro effettuato da un team di ricercatori della Carnegie Institution for Science.

Curiosi di scoprire di cosa si tratta? Lo vediamo subito.

Vita nello Spazio e intelligenza artificiale

La novità arriva direttamente dagli Stati Uniti d’America, dove, a Washington, una squadra di sette scienziati della Carnegie Institution for Science ha creato un metodo per stabilire con estrema accuratezza se esista o meno qualche forma di vita nello Spazio.

Immagine | Unsplash @NASA – Newsby.it

Lo ha fatto all’interno di uno studio finanziato dalla John Templeton Foundation e guidato da Jim Cleaves e Robert Hazen, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista di settore Proceedings of the National Academy of Sciences.

Il metodo messo a punto dal team di esperti si basa sull’intelligenza artificiale e ha permesso loro di distinguere con un’accuratezza del 90% i campioni biologici moderni e antichi rispetto a quelli di origine abiotica.

Cosa significa? Usando una terminologia più diretta, possiamo dire che, dal punto di vista pratico, i ricercatori sono riusciti a creare un modello semplice e affidabile utile a individuare segni di vita passata o presente sui vari pianeti esistenti nello Spazio.

Utilizzando le straordinarie potenzialità offerte dall’intelligenza artificiale, gli scienziati sono riusciti a dimostrare che l’AI stessa è in grado di differenziare i diversi campioni biotici da quelli abiotici, grazie alla sua capacità di rilevare anche le più piccole differenze che caratterizzano i modelli molecolari di ogni campione analizzato.

Una qualità evidenziata chiaramente dall’analisi gascromatografica di pirolisi, utile a separare e identificare le varie parti che compongono uno stesso campione, alla quale fa seguito poi una spettrometria di massa, che determina invece i pesi molecolari degli stessi componenti.

Nello specifico, i ricercatori hanno raccolto numerosi dati multidimensionali grazie all’analisi molecolare di 134 campioni noti (sia biotici che abiotici, ndr) ricchi di carbonio.

Tali dati sono stati, quindi, sfruttati per insegnare all’intelligenza artificiale come prevedere concretamente l’origine di un nuovo campione.

Il metodo messo a punto dal team statunitense non si basa, infatti, solamente sull’identificazione di una specifica molecola o di un gruppo che compone un solo campione.

Un concetto meglio spiegato dal già citato Robert Hazen, le cui parole sono state riportate dall’agenzia AGI:

“Il nostro metodo analitico di routine ha il necessario potenziale affinché la ricerca della vita extraterrestre sia rivoluzionata. Non solo. Ci permette anche di approfondire la nostra comprensione dell’origine e della chimica delle prime forme di vita sulla Terra. Inoltre, è utile anche ad aprire la strada all’uso di sensori intelligenti su veicoli spaziali robotici, lander e rover, con il fine di cercare segni di vita ben prima che i campioni raccolti rientrino sulla Terra”.

Stando a quanto riportato da Hazen, il nuovo test creato dai ricercatori potrebbe già aiutare l’uomo a scoprire quale storia si celi dietro alla presenza di misteriose rocce antiche sul nostro Pianeta, oltre che dei campioni già raccolti in passato su Marte dallo strumento SAM del rover Mars Curiosity:

“Sarà necessario modificare il nostro metodo per adattarlo ai protocolli del SAM, ma è possibile che nelle nostre mani ci siano già dei dati utili a determinare se su Marte siano presenti molecole di una biosfera organica marziana”.

C’è vita nello Spazio?

A legarsi alle parole del sopracitato Hazen, sono quelle espresse dal collega Jim Cleaves, autore principale dello studio:

“La ricerca di vita extraterrestre rimane una delle imprese più allettanti per la scienza moderna. Le implicazioni della nostra nuova ricerca sono molte, ma tre sono le principali conseguenze. Prima di tutto, a un livello profondo, la biochimica differisce dalla chimica organica abiotica. In seconda battuta, possiamo esaminare dei campioni provenienti sia da Marte che dalla Terra antica, così da capire se un tempo fossero vivi. Per ultimo, è molto probabile che questo nuovo metodo possa distinguere le biosfere alternative da quelle della Terra, il che comporterebbe delle implicazioni significative per le future missioni astrobiologiche”.

Immagine | Unsplash @SteveJohnson – Newsby.it

Il modello creato dagli scienziati è riuscito, infatti, a identificare con un’accuratezza del 90% i vari campioni la cui origine risiedeva in esseri viventi, come conchiglie moderne, ossa, denti, foglie, insetti, riso, cellule conservate all’interno di rocce e persino capelli umani. Tutto grazie all’intelligenza artificiale.

Non solo. È riuscito anche a identificare con successo pure i resti di vita antica alterati dalla lavorazione geologica, come il carbone, i fossili ricchi di carbonio e il petrolio, oltre che i vari campioni di origine abiotica, quali le sostanze chimiche pure di laboratorio come gli aminoacidi e i meteoriti ricchi di carbonio.

Seppur ostacolata in qualche caso dal decadimento e dalle alterazioni causate dal tempo, l’AI è riuscita comunque a rilevare segni di biologia anche in componenti conservati per centinaia di milioni di anni.

“Siamo partiti dall’idea che la chimica della vita differisca da quella del mondo inanimato. Per noi, esistono delle regole chimiche della vita, le quali influenzano la diversità e la distribuzione delle biomolecole. Se riuscissimo a dedurre queste regole, potremmo usarle per guidare i nostri sforzi e per modellare le origini della vita o per rilevare sottili segni di vita su altri mondi”.

Ha specificato Hazen, il quale ha anche aggiunto:

“I risultati ottenuti dallo studio indicano che potremmo essere in grado di trovare una forma di vita da un altro pianeta, un’altra biosfera, anche se molto diversa dalla vita come noi la conosciamo sulla Terra. Se trovassimo segni di vita altrove, poi, potremmo anche essere in grado di dire se la vita sulla Terra e sugli altri pianeti abbia un’origine comune o diversa”.

In parole povere, il test ideato dovrebbe permettere di stabilire se esistano o siano esistite forme di vita nello Spazio.

“Si tratta di un aspetto importante, perché è relativamente facile individuare i biomarcatori molecolari della vita terrestre, ma non possiamo presumere che la vita aliena utilizzi DNA o aminoacidi. Il nostro metodo cerca modelli di distribuzione molecolare che derivano dalla richiesta di molecole funzionali da parte della vita. La tecnica potrebbe presto risolvere una serie di misteri scientifici sulla Terra”.

Ha sottolineato sempre Hazen.

Che sia arrivato davvero il momento di rispondere una volta per tutte a una domanda che ci poniamo da sempre? Forse, sì.

Marco Garghentino

Brianzolo dal 1996, ho sempre pensato che la comunicazione sia la principale arte che l’uomo ha sviluppato nei secoli. Amo lo sport, conoscere il Mondo ed essere informato. Ogni vita ha una storia e spesso vale la pena raccontarla.

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