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SCIENZE

Deltamicron, cosa sappiamo esattamente della variante ibrida del Covid

Che cos’è Deltamicron, la variante ibrida del Covid apparsa l’8 marzo nel preprint di un team di ricercatori francesi? Sostanzialmente unisce il corredo genetico di Delta e Omicron. Il primo a ipotizzarne l’esistenza è stato il dottor Scott Nguyen presso il Washington, D.C. Public Health Laboratory. Questa scoperta avvenne a seguito dell’analisi di diversi dati provenienti dalla Francia riguardanti presunti casi di co-infezione da Delta e Omicron nei pazienti Covid. Il 10 marzo si contavano 33 casi della nuova variante in Francia, 8 in Danimarca, uno in Germania e uno in Olanda. Lo stesso giorno Reuters riportava che un’azienda specialista che si occupa di sequenziamenti genetici aveva trovato un paio di casi negli Stati Uniti.

I risultati dello studio francese su Deltamicron

Essendoci casi di co-infezione tra diverse varianti, sono dunque emersi anche casi di sospette ricombinazioni genetiche, le quali sono comuni in tutti i Coronavirus. Questo è quello che riportano gli autori dello studio francese nell’abstract.

Qui sono state segnalate tre infezioni nel sud della Francia con un ricombinante Delta 21J/AY.4-Omicron 21K/BA.1 “Deltamicron”, il genoma ibrido ospita mutazioni distintive dei due lignaggi, supportate da una profondità di sequenziamento media di 1.163-1.421 letture e una diversità nucleotidica media dello 0,1-0,6%. […] L’analisi strutturale del picco ricombinante ha suggerito che il suo contenuto ibrido potrebbe ottimizzare il legame virale nella membrana della cellula ospite. Questi risultati richiedono ulteriori studi sulle caratteristiche virologiche, epidemiologiche e cliniche di questo ricombinante.

Le ricombinazioni nei Coronavirus

Rimane da chiedersi quale potrebbe essere l’impatto della variante ibrida nella capacità di SARS-CoV-2 di trasmettersi ed evadere gli anticorpi neutralizzanti derivati dai vaccini o da una precedente infezione. Per quanto le principali varianti non buchino i vaccini Covid e per quanto i titoli anticorpali calino dopo 4/5 mesi, la protezione dalle forme gravi di Covid-19 resta alta anche dopo sei mesi, rispetto a quella derivata dall’immunità naturale. Si ha, infatti, un 30% di casi dove la co-infezione rivela una ricombinazione tra varianti diverse, senza portare a mutanti significativamente pericolosi. Il restante 70% è costituito da sequenze potenzialmente ricombinanti, che si rivelano essere artefatti prodotti per errore durante il sequenziamento in laboratorio. In questo contesto, dopo che si era scoperto che il presunto ibrido Deltacron scoperto a Cipro non esistesse affatto, Deltamicron potrebbe rivelarsi non essere il primo caso di ricombinazione tra Delta e Omicron.

Dobbiamo preoccuparci?

Al momento non si è a conoscenza di casi rilevanti tali da darci motivo di preoccupazione. Questo evento di ricombinazione (per nulla inconsueto) non implica necessariamente una maggiore trasmissibilità, evasione immunitaria o virulenza. Il dottor Etienne Simon-Loriere, dell’Istituto Pasteur, è uno dei ricercatori impegnati nello studio della nuova variante ibrida. Ha spiegato sul New York Times come il gene che codifica la Spike (ovvero la proteina che permette il legame del virus con le cellule polmonari) derivi quasi interamente dal genoma della variante Omicron. Il resto del genoma deriva dalla variante Delta. Questo significa che, con molta probabilità, le difese immunitarie già acquisite contro Omicron dalla popolazione (mediante vaccino e/o precedente infezione) funzioneranno altrettanto bene anche contro Deltamicron.

Lorenzo Grossi

Classe '89, appassionato sin da piccolo di sport e scrittura. Già da "pischello" scrivevo come collaboratore per alcune testate giornalistiche a cui ho man mano affiancato radio, agenzie di stampa, tv e quotidiani cartacei. Ora è il momento di newsby! Nel carnet anche una breve ma intensa carriera di direttore di gara di calcio a 11.

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