Il record storico di 38° in Artide, la raffica di tornado negli Usa, le alluvioni devastanti in Germania. Sono tanti gli indizi a conferma del cambiamento climatico in atto, che, di giorno in giorno, si avvicina a un punto di non ritorno. A New York un orologio speciale, noto come “Climate Clock, segna quanti anni, giorni, ore e minuti l’umanità ha ancora a disposizione prima di una catastrofe climatica irreversibile. Mentre prosegue disperata la corsa per ridurre le emissioni di CO2, viene da domandarsi quale ruolo abbiamo come individui in questa lotta al cambiamento climatico. Quanto le nostre singole azioni incidono sull’inquinamento ambientale? Siamo consapevoli che anche un piccolo gesto, come inviare una foto agli amici, mettere un like sui social network, ha un impatto sull’ambiente?
A puntare i riflettori sull’inquinamento da social network è stato recentemente il ministro della transizione ecologica, Roberto Cingolani. In una videoconferenza con circa 17mila studenti di medie e licei, il ministro ha detto che “un atto di responsabilità è capire che l’utilizzo smodato dei social non è gratis. Vi sembrano gratis perché in realtà il prodotto siete voi. E quando mandate delle inutili fotografie – ha ricordato Cingolani -, qualcuno le paga e hanno un impatto molto maggiore di quel che pensate“.
Dopo aver elencato alcuni dati, Cingolani ha invitato i giovani ad una maggiore “sobrietà digitale“, chiedendo loro di postare meno e di modificare i propri comportamenti su internet. “Quando mandate inutili fotografie pensate al costo che hanno“, ha sottolineato il ministro. “Nessuno discute l’importanza di internet. Come tutte le tecnologie se però utilizzato senza sobrietà è deleterio“, ha dichiarato Cingolani.
L’uso dei social network inquina più di quanto possiamo pensare. Forse non ci abbiamo mai pensato, ma si tratta di una riflessione fondamentale per cambiare radicalmente il nostro atteggiamento nella lotta al cambiamento climatico. Se internet fosse una nazione, si classificherebbe al quarto posto dopo Cina, Stati Uniti e India, in quanto a emissioni di anidride carbonica. Con i suoi quattro miliardi di cittadini, che immettono in media 400 grammi di anidride carbonica all’anno, la nazione di Internet è responsabile di 1.850 milioni di tonnellate di Co2 in un anno. Lo ha stimato nel 2019 il Global Carbon Project. Ma come è possibile?
Quando si parla di inquinamento digitale, si intendono non solo le emissioni di anidride carbonica legate alla produzione di smartphone, pc e tablet, ma anche le emissioni inquinanti provenienti dall’utilizzo di questi dispositivi. Un singolo smartphone, tra chiamate, sms e mail, se usato una sola ora al giorno, inquina in un anno quanto un volo Milano-New York, ovvero 1,25 tonnellate di Co2. L’uso dei cellulari, tablet e computer comporta, infatti, un consumo di energia notevole, in quanto legato al funzionamento di grandi e inquinanti data center. Secondo alcune ricerche, applicazioni come Facebook, Twitter, Instagram, WhatsApp e YouTube inquinano più degli aerei. Il traffico aereo, infatti, produce il 2% della Co2 mondiale, mentre il digitale arriva al 4%, e la metà viene dai social.
Secondo la Royal Society il digitale è responsabile dell’emissione di gas serra per una quota che va dall’1,4% al 5,9%. Mentre una stima della Bbc rivela che un tweet lascia un’impronta di Co2 di 0,2 grammi, l’invio di una mail da 1 megabyte circa 4 grammi, quindi quanto consuma una lampadina da 60 watt lasciata accesa per circa mezz’ora. La situazione peggiora se si allegano emoticon e immagini. In questo caso, si arriva a 50 grammi. Per non parlare poi della visione di video online, comportamento che genera 300 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno, pari a circa l’intera produzione di gas serra della Spagna e all’1% delle emissioni globali.
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