Migliaia di sudafricani stanno protestando contro i piani della Royal Dutch Shell di effettuare esplorazioni petrolifere sismiche su un tratto costiero incontaminato che minaccerebbero la fauna marina locale.
Le proteste sono scaturite dopo la decisione del tribunale di annullare una richiesta presentata dagli ambientalisti per fermare l’esplorazione petrolifera. Respingendo come non provata la loro tesi secondo cui causerebbe “danni irreparabili” all’ambiente marino. Minacciando in particolare la migrazione delle balene megattere che giungono in quel tratto di costa per riprodursi.
La Wild Coast è considerata il rifugio naturale di moltissime specie animali, come balene, delfini, foche e pinguini, oltre che una grande attrazione turistica.
Shell ha detto che la sua esplorazione pianificata ha l’approvazione normativa e contribuirà in modo significativo alla sicurezza energetica del Sudafrica.
Ma la popolazione locale teme che l’esplosione sismica condotta su oltre 6.000 chilometri quadrati ucciderà o spaventerà i pesci da cui dipendono per vivere.
Le esplorazioni petrolifere sismiche utilizzano onde sismiche, analoghe a quelle generate durante un terremoto, per esplorare la struttura e le caratteristiche del sottosuolo.
Grazie alle sue basse frequenze, il rumore si può propagare attraversando oceani interi, per centinaia o addirittura migliaia di chilometri.
Come hanno provato numerosi studi scientifici, a causa del forte rumore queste esplorazioni possono causare danni anche permanenti agli animali, dalla perdita dell’orientamento allo stress fino a danni uditivi.
Gli ambientalisti stanno esortando la Shell e le altre compagnie petrolifere a smettere di cercare petrolio. Sostenendo che il mondo non ha possibilità di raggiungere lo zero carbonio netto entro il 2050 se i giacimenti di petrolio esistenti vengono bruciati, figuriamoci se ne vengono trovati di nuovi.
All’inizio di quest’anno, un tribunale olandese in una svolta storica ha ordinato a Shell di ridurre le emissioni di carbonio del 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019.
La politica di sostenibilità del gigante petrolifero è stata giudicata “insufficiente” dal tribunale olandese. Si tratta di una sentenza senza precedenti che avrà ampie implicazioni per l’industria energetica e altre multinazionali inquinanti. É la prima volta infatti che un tribunale obbliga un gigante petrolifero ad agire per rispettare gli accordi di Parigi.
Il tribunale ha affermato che Shell stava violando diversi articoli, tra cui il diritto alla vita e il diritto alla vita familiare. Causando un pericolo per gli altri quando misure alternative potrebbero essere prese.
La corte ha stabilito inoltre che la società era a conoscenza da “molto tempo” dei danni delle emissioni di carbonio. Shell, che ha affermato che avrebbe impugnato la sentenza, è stato il nono più grande inquinatore al mondo nel 1988-2015, secondo il database di Carbon Majors. Ad oggi è responsabile dell’1% delle emissioni globali. Tuttavia, la compagnia continua ad investire miliardi in petrolio e gas, ha sottolineato il tribunale.
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