È ancora presto per determinare in modo preciso l’efficacia dei vaccini anti-Covid sulla variante Omicron, ma iniziano a essere disponibili alcuni dati preliminari a riguardo. Un gruppo di ricercatori dell’Africa Health Research Institute ha svolto un primo studio, di dimensioni ridotte, sull’impatto del vaccino di Pfizer sulla nuova mutazione. Da quanto è emerso, la protezione fornita dall’inoculazione sarebbe minore rispetto a quella esistente per altre forme del coronavirus. I risultati dell’indagine, non ancora sottoposti a peer review, sono disponibili online.
Uno studio ancora in corso
Su Twitter, il virologo sudafricano Alex Sigal, uno dei firmatari della ricerca, ha riassunto alcuni elementi dello studio. In primo luogo, il ricercatore ha voluto sottolineare che l’analisi è ancora in corso. Al momento i ricercatori hanno raccolto i dati relativi a 12 soggetti che hanno ricevuto le prime due dosi del vaccino di Pfizer. I risultati registrati finora potrebbero subire delle modifiche in seguito all’acquisizione di ulteriori dati. Parlando con la Nbc, Ugur Sahin, il fondatore di Bionntech, ha dichiarato che tenderebbe a “essere più ottimista”. Dallo studio, inoltre, è emerso che somministrando il vaccino di Pfizer a chi è guarito dal Covid si ottiene un “aumento del livello di protezione”, in particolare nei confronti della malattia grave.
Fauci: “I dati non indicano una malattia dal profilo molto grave”
Nel corso di un briefing alla Casa Bianca, il professor Anthony Fauci ha parlato della variante Omicron. “Se si considera la trasmissibilità, abbiamo delle evidenze a livello molecolare che suggeriscono che le mutazioni individuate in Omicron e in altre varianti fanno pensare a un’aumentata contagiosità. I dati vengono accumulati rapidamente, su base quotidiana, per consentirci di determinare l’aumento dei casi e ipotizzare la rapida sostituzione della variante Delta da parte di Omicron in certe situazioni”.
Sulla base dei dati disponibili finora, provenienti soprattutto dal Sudafrica, Fauci ha dichiarato che “non sembra esserci una malattia dal profilo molto grave”. È però necessario monitorare “un’aumentata tendenza alla reinfezione” per soggetti in passato contagiati dalla variante Beta o Delta. “Visto che i dati sulla severità della malattia, i ricoveri e i decessi non sono immediati, ci vorranno almeno due settimane prima di avere una panoramica della situazione e poi altro tempo per un quadro ancor più dettagliato. Quindi, direi che non dovremmo trarre conclusioni definitive, di certo non prima delle prossime due settimane”.