Variante Covid scoperta a Napoli:
“È un mix tra inglese e nigeriana”

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Stiamo sequenziando questa variante del Covid che ha sia mutazioni già presenti nella variante nigeriana, che in quella inglese. È la prima identificata con mutazioni simili a due varianti, ma siamo certi che ce ne siano altre“. Così il Professor Massimo Zollo del Ceinge di Napoli.

In che cosa consiste la variante scoperta a Napoli

È il laboratorio in cui si sta sequenziando l’ultima evoluzione del Coronavirus, che inevitabilmente sta generando moltissima preoccupazione. “Stiamo guardando solo la punta dell’iceberg – ha infatti osservato il Professor Zollo –. Immagino che esistano altre selezioni genetiche che non conosciamo. Per questo dobbiamo sequenziarle. Se è una variante che abbiamo rilevato, vuol dire che ha avuto successo. Ed è virulenta. Dobbiamo capire se ne esistono altre altrettanto virulente“.

La grande paura riguarda l’impatto che il Coronavirus attraverso questa nuova forma potrà avere sulla cittadinanza. E il professore non si è nascosto: “Fronte vaccino è fondamentale guardare l’interazione di questa proteina spike e vedere se la si riesce a bloccare. Dovremo aspettare di essere tutti vaccinati per essere certi che i vaccini siano efficaci contro questa variante“.

Perché è fondamentale sequenziare il Coronavirus

Disporre di dati di sequenza completa del virus permette di utilizzare software informatici. Questi ci permettono la ricostruzione in 3D ad esempio delle alterazioni della proteina. In questo modo possiamo capire l’effetto biologico dell’insieme di ogni variante sulla capacità replicante del virus. E, di conseguenza, sulla sua maggiore o minore capacità infettiva“, ha poi spiegato il Professor Ettore Capoluongo.

Il lavoro del Ceinge di Napoli è estremamente delicato e importante. “Di questa variante che stiamo analizzando – ha illustrato il professor Capoluongo – stiamo cercando di capire se è isolata e circoscritta all’interno delle regioni in cui è stata isolata. Se invece ci fosse il coinvolgimento di altre regioni genomiche, potremmo anche essere di fronte a un cluster unico che può rappresentare alterazioni funzionali. Se così fosse il virus potrebbe essere più attivo e più penetrante nella popolazione“.

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