Non è la prima volta che il vaccino a vettore virale Janssen, prodotto dall’azienda farmaceutica Johnson & Johnson, finisce nel mirino di un’autorità sanitaria nazionale. E se ci sono Paesi come Norvegia, Danimarca o più recentemente Slovenia che hanno imposto lo stop definitivo a J&J, arriva ora anche dagli Stati Uniti la raccomandazione a preferire quelli a mRna a dispetto di quello dell’azienda fondata a New Brunswick nel 1886.
Il CDC (Centro di controllo e prevenzione delle malattie), massima autorità statunitense per quel che riguarda la sanità, ha diffuso un comunicato nella tarda serata di giovedì in cui raccomanda tutti gli adulti a vaccinarsi con i prodotti di Pfizer/BioNTech o Moderna piuttosto che con J&J.
Il motivo è presto detto: nove decessi, nel solo territorio americano, attribuibili a trombosi che gli esperti collegano al vaccino di Johnson & Johnson. E in Europa, il caso della ragazza slovena di 20 anni morta a settembre per lo stesso motivo non ha fatto che acuire la preoccupazione anche a livello continentale.
Eppure, dopo quelli di Pfizer e Moderna, il vaccino monodose J&J resta il terzo più distribuito e somministrato negli Stati Uniti, il quarto in Unione europea. Negli Usa, secondo i dati del CDC aggiornati al 16 dicembre, sono 29.023.700 le dosi distribuite ai centri vaccinali e 17.311.789 quelle somministrate.
C’è anche chi ha già provveduto a fare la dose booster: per la precisione, 894.280 persone. Tutto ciò nonostante una sospensione temporanea, di circa un mese, fra aprile e maggio 2021. Sempre per analizzare i casi sospetti di trombosi dopo la somministrazione del vaccino.
In Unione europea i numeri sono anche più alti, nonostante lo stop imposto dalle autorità sanitarie di diversi Paesi. Fra i 27 Stati membri J&J ha inviato 47.979.554 dosi, secondo i dati dell’ECDC (Il Centro europeo di controllo e prevenzione delle malattie) aggiornati al 16 dicembre.
Colpisce però la percentuale delle somministrazioni: ‘solo’ 18.486.897, molto meno della metà delle dosi a disposizione. Paesi come l’Ungheria, ad esempio, hanno somministrato solo il 7,7% delle dosi ricevute.
E colpisce, inoltre, che la raccomandazione del CDC sia arrivata solo poche ore dopo l’ennesima rassicurazione da parte dell’Ema, l’Agenzia europea del farmaco, proprio riguardo al vaccino di Johnson & Johnson. Nella comunicazione in cui invita ad effettuare la dose booster almeno due mesi dopo la (ormai non più) monodose, i referenti dell’Ema hanno dichiarato sicuro il vaccino.
“Il rischio di trombosi in combinazione con trombocitopenia (Tts) o altri effetti collaterali molto rari dopo un richiamo non è noto e viene attentamente monitorato – si legge nella nota diffusa giovedì dall’Agenzia -. Continueremo a esaminare tutti i dati sulla sicurezza e l’efficacia del vaccino Janssen”.
In Italia, secondo i dati dell’ECDC, sono 1.447.100 le dosi somministrate del vaccino Janssen, su 2.264.641 dosi a disposizione delle autorità sanitarie. L’Aifa, Agenzia italiana del farmaco, d’accordo con la cabina di regia, consiglia questo vaccino agli over 60, come stabilito ad aprile 2021.
Chi ha già fatto il vaccino J&J è inoltre invitato a fare “una dose booster eterologa con vaccino a mRNA (nei dosaggi autorizzati per la dose booster) a partire da 6 mesi dalla prima dose”, come suggerito a inizio novembre dall’Aifa.
Si tratta però, anche in questo caso, di una raccomandazione. E in un’epoca di pandemia in cui si rincorrono certezze, resta difficile essere “pazienti”, in tutti i sensi. Perché non è semplice raccapezzarsi fra miriadi di comunicazioni, smentite e opinioni, anche autorevoli, spesso completamente opposte fra loro. Esattamente come quelle di CDC ed Ema.
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