Stefano Vella definisce la pandemia da Covid sostanzialmente “infinita”. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, l’infettivologo parla dei vaccini e spiega che il Coronavirus “rimarrà fra noi per molto tempo. È più astuto dei suoi predecessori (Sars e Mers, scomparse rapidamente ndr). È cattivo ma non troppo, cioè non uccide le persone come il virus Ebola, autoeliminandosi, ma ci convive. È geniale perché si trasforma, nelle sue varianti, e continua a infettare più gente che può, per sopravvivere. Una questione darwiniana”.
Vella, tra i numerosi incarichi, ha ricoperto anche quello di direttore dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco. Attualmente insegna Salute Globale all’Università Cattolica di Roma. Sui richiami a quattro mesi dopo la seconda dose “è tutto da valutare”, afferma. “Passo dopo passo. Una cosa, però, è certa: l’immunità contro questo Coronavirus non dura. Sia quella stimolata dall’infezione vera e propria, sia quella determinata dai vaccini. Da qui l’esigenza di pensare a richiami successivi”.
“Al momento”, aggiunge l’infettivologo, “non abbiamo dati che dimostrino che gli attuali vaccini siano davvero efficaci: funzionicchiano, tant’è che si sta pensando di aggiornarli, ma sono sempre meglio di niente. E anche l’idea della quarta dose è quella di ‘pompare’, con quello che ho, il sistema immunitario perché reagisca al virus. Ancora meglio di niente, nell’emergenza. In prospettiva dovremmo immaginare di vaccinarci ogni anno, come si fa con l’influenza”.
L’intervista di Vella riporta in auge il tema dell’immunizzazione fornita dai vaccini. Sulla loro durata è ancora difficile fornire una risposta precisa. Sul proprio sito ufficiale l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) spiegava che “le osservazioni fatte nei test finora hanno dimostrato che la protezione dura alcuni mesi, mentre bisognerà aspettare periodi di osservazione più lunghi per capire se una vaccinazione sarà sufficiente per più anni o servirà ripeterla. Non è ancora chiaro, ma sono in corso studi in merito, se il vaccino protegge solo dalla malattia o impedisce anche l’infezione. Almeno in un primo momento anche chi è vaccinato dovrebbe mantenere alcune misure di protezione”.
Per capire se le varianti del virus possano o meno superare l’immunizzazione acquisita, è necessario rispondere a una domanda: i vaccini sono efficaci contro queste mutazioni del virus? Anche in questo caso, però, è difficile arrivare a una risposta univoca. Parlando della variante Delta, per esempio, uno studio pubblicato tre mesi fa sul New England Journal of Medicine indicava che due dosi del vaccino di Pfizer o AstraZeneca offrono una buona protezione nei suoi confronti. Si parla di numeri che oscillano tra il 67% e l’88%. Tuttavia, il Ministero della Salute di Israele aveva diffuso dei dati diversi, dai quali emerge che il vaccino di Pfizer ha un’efficacia di appena il 39% nei confronti di questa mutazione. Senza contare che la variante Omicron è cinque volte più contagiosa della Delta. Insomma, quel termine “funzionicchiano” utilizzato dal professor Vella potrebbe non essere poi così distante dalla realtà.
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