Mentre i numeri del contagio crescono rapidamente a causa della variante Omicron, aumentano anche i contatti a rischio. A pochi giorni dal Natale, la caccia al tampone è ormai di routine. Se i molecolari risultano pressoché introvabili, con attese di una settimana o anche di più, i tamponi rapidi rimangono l’unica alternativa possibile. Ma sono davvero efficaci? E quando si rischia di avere un falso negativo? Secondo uno studio su 332 pazienti, pubblicato sulla rivista Future virology, il test antigenico rapido per la rilevazione del Covid-19 sbaglia quasi una volta su due, fornendo un alto tasso di falsi negativi. “Il grande numero di falsi negativi che questi test produce è pericolosissimo perché determina nei soggetti negativi un falso senso di sicurezza“, spiega Claudio Giorlandino, direttore scientifico del Centro ricerche Altamedica di Roma che ha curato lo studio.
Anche se in generale restano utili, “la loro affidabilità nel rilevare le tracce di coronavirus presenti nell’organismo si aggira intorno al 70%“, spiega a Il Messaggero Roberto Cauda, direttore dell’Unità organizzativa complessa di Malattie infettive presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs e professore di Malattie infettive dell’Università Cattolica. Meno sensibili dei molecolari, i tamponi rapidi hanno un “limite oggettivo legato alla metodica“, sottolinea Cauda, in quanto impiegati soprattutto in attività di screening su una fascia più o meno ampia di popolazione.
Ma qual è la differenza tra tamponi molecolari e antigenici? I tamponi rapidi permettono di tracciare la presenza di alcune componenti del coronavirus (gli antigeni) mediante tampone nasale o in bocca. I test molecolari, il cui risultato può arrivare in un arco temporale compreso tra le 24 e le 72 ore, evidenziano invece la presenza del materiale genetico (Rna) del virus. Il risultato si ottiene in appositi laboratori con reagenti chimici che, amplificando il materiale presente sul tampone, rendono più facile individuare le tracce dell’infezione.
I tamponi rapidi possono, in alcuni casi, avere falsi negativi come risultato. Questo accade per diverse ragioni:
Innanzitutto, la carica virale nell’organismo aumenta in modo significativo tra le 48 e le 72 ore successive all’inizio dell’infezione. Lo sottolinea al Financial Times Catherine Moore, consulente scientifica del Ministero della Sanità del Galles. Spesso i tamponi rapidi si eseguono non appena si ha notizia di un contatto con un possibile positivo. Questo alza notevolmente la probabilità di un risultato falso. Sarebbe infatti indicato sottoporsi a test antigenico dai tre ai quattro giorni successivi al contatti.
Per risultare positivi, inoltre, i tamponi antigenici devono rilevare una carica virale più alta di quella che serve ai test molecolari. Questo vale specialmente nel caso di soggetti asintomatici, dove è più frequente che il risultato dei rapidi sia falsato.
Un altro fattore che contribuisce alla minore affidabilità di testi rapidi è legato alla loro capacità di rilevare le varianti del coronavirus, inclusa la Omicron. Lo ha sottolineato il Comitato di Sicurezza Pubblica dell’Unione europea, specialmente per quanto riguarda i tamponi che esaminano soltanto la proteina Spike.
Inutile precipitarsi a sottoporsi a un test appena avuto un contatto sospetto. Nei primi due giorni, infatti, il virus non è rilevabile. Dal terzo giorno, lo diventa solo per i tamponi molecolari e solo successivamente, quindi dopo 72 ore, anche per quelli rapidi, che hanno una sensibilità molto inferiore.
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