È l’ultima sottovariante del Covid, e si chiama BA.2.75. Fa parte della “famiglia” di Omicron e a scoprirla e a parlarne è stato il virologo Tom Peacock, dell’Imperial College di Londra. Cerchiamo quindi di capire quanto rischia di diffondersi e quanto si debba temere per questa nuova versione del virus.
Partiamo da un presupposto: la sottovariante Omicron BA.2.75 al momento non è ancora stata studiata al punto tale da finire in una pubblicazione scientifica. Gli esperti lo stanno però già mettendo al setaccio, e hanno rilevato che si tratta di una seconda generazione di BA.2 (ossia Omicron 2). La modalità di evoluzione del Covid è sempre la stessa: in questo caso infatti ci sono nove mutazioni sulla proteina Spike, con la quale il virus si aggancia alle cellule umane. E anche in questo caso, come nel passato, la trasmissibilità è maggiore.
La sottovariante Omicron BA.2.75 del Covid è comparsa il 2 giugno e la sua prima segnalazione è arrivata in India. “Ora è in apparente rapida crescita. E vale la pena tenerla d’occhio, anche se le sequenze finora raccolte sono poche“, ha spiegato Peacock su Twitter. La ragione della preoccupazione sta nel fatto che in poco più di un mese BA.2.75 dall’India si è già spostata in Paesi come Nuova Zelanda, Canada e anche Germania.
E l’Italia? Attualmente il nostro Paese non è stato raggiunto dalla nuova minaccia. “In Italia la sottovariante BA.2.75 al momento non è stata rilevata. È presto per poter dire oggi che la variante diventerà predominante. Occorrono dati che oggi non abbiamo, né possiamo immaginare. Ma era sicuro che nuove varianti sarebbero arrivate e che potranno arrivarne altre, non essendoci più alcuna restrizione“, ha spiegato in un’intervista all’Ansa il genetista Massimo Zollo, coordinatore della Task force Covid-19 del Ceinge.
Ma la sottovariante BA.2.75 non è sola. L’ultima forma di Omicron presenta infatti già una piccola “famiglia”, composta da BA.2.74 e BA.2.76. Entrambe si trovano in India, dove stanno contribuendo al nuovo aumento dei contagi da Covid. La loro rapidità di diffusione sarebbe infatti superiore del 18% rispetto a quella delle varianti finora note. Colpa in particolare delle mutazioni G446S e R493Q, in grado di sfuggire agli anticorpi. E la scienza è al lavoro per capire quali possano essere le prossime contromosse.
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