Sembra passato un secolo dall’entusiasmo dello scorso Natale, quando l’Unione europea annunciava trionfalmente l’inizio della campagna vaccinale promettendo massima rapidità per mettere fine all’incubo pandemia. I ritardi nell’approvvigionamento delle dosi di vaccino da parte delle aziende farmaceutiche (l’ultimo annunciato nella giornata di martedì da Johnson & Johnson) stanno mettendo in difficoltà diversi Paesi, Italia compresa, e nel contesto europeo si sono create nuove spaccature.
L’Ungheria, ad esempio, ha approvato il vaccino cinese di Sinopharm, l’Austria e la Danimarca sono invece pronte ad un accordo formale con Israele per sviluppare un vaccino indipendente. Ma a che punto è la distribuzione da parte delle aziende che si sono accordate con Bruxelles? Vediamo caso per caso cosa sta succedendo.
Su Johnson&Johnson bisogna chiarire un punto: l’ok all’azienda americana in realtà è subordinato all’esame da parte dell’Agenzia europea del farmaco (Ema). La casa farmaceutica (celebre al grande pubblico per i prodotti per l’igiene personale) ha però chiaramente dichiarato di non riuscire ad assicurare le 55 milioni di dosi uniche previste per il periodo previsto, quello fra aprile e giugno di quest’anno.
La notizia, inevitabilmente, ha raffreddato l’entusiamo a Bruxelles come nel resto dell’Unione europea. Soprattutto perché si fa molto affidamento sul vaccino di Johnson&Johnson, l’unico finora a non aver bisogno del richiamo per attivare la risposta immunitaria contro il Covid-19.
Pochi giorni prima di Johnson & Johnson, anche AstraZeneca aveva annunciato ritardi nella distribuzione, iniziando un lungo braccio di ferro con le autorità europee. Rispetto agli accordi iniziali l’azienda britannica aveva fornito meno del 10% delle dosi pattuite con l’Ue, secondo la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.
A conseguenza di ciò l’Ue ha disposto nei giorni scorsi il blocco delle esportazioni dei vaccini AstraZeneca (e l’Italia, in questo senso, ha recepito immediatamente l’indicazione di Bruxelles), scatenando commenti indignati da parte del premier britannico Boris Johnson. AstraZeneca si è comunque impegnata a fornire complessivamente, nel più breve tempo possibile, 300 milioni di dosi all’Ue.
Il primo vaccino a non rispettare le date di consegna era stato però quello realizzato da Pfizer e BioNTech. Il 18 gennaio la Cabina di Regia aveva confermato l’assenza di 165mila dosi rispetto a quanto pattuito inizialmente. Causa di ciò, si è poi appurato, erano stati i lavori di aggiornamento dell’impianto produttivo europeo di Puurs, in Belgio.
Il rallentamento non ha riguardato dunque solo l’Italia, ma tutta l’Europa. Rispetto alle previsioni iniziali del trimestre dicembre-febbraio ci sono 10 milioni di dosi in meno. L’azienda si è comunque detta fiduciosa direcuperare il tempo perso entro la fine del mese di marzo.
All’appello, tra i vaccini approvati dall’Ema manca quello di Moderna. Anche in questo caso si registrano ritardi nella distribuzione. Italia e Francia (ma anche, fuori dall’Ue, la Svizzera) hanno annunciato che le consegne del mese di febbraio sono minori rispetto ai primi accordi. La portavoce della Commissione europea, Vivian Loonela, aveva fatto sapere a metà febbraio, attraverso i canali ufficiali della Commissione, che i ritardi previsti dall’azienda per febbraio sarebbero stati probabilmente recuperati nel mese di marzo 2021. Al momento, però, il ritardo resta.
Nel frattempo la campagna vaccinale in Italia sembra ancora non aver preso lo slancio giusto. Gianni Rezza, direttore del Dipartimento di prevenzione del Ministero della Salute, ha parlato di “ritorno alla normalità in 7-15 mesi vaccinando 240mila persone al giorno“. C’è chi, come Quorum e Youtrend in collaborazione con Sky Tg24, ha proposto un calcolatore in base a un preciso algoritmo. Altri, invece, preferiscono attendere senza fare ulteriori previsioni.
Nel frattempo, secondo quanto riportato mercoledì mattina dall’Ansa, che cita fonti di Palazzo Chigi, l’Italia avrà a disposizione una quota aggiuntiva di 532mila dosi di vaccino, “che saranno consegnate entro la fine di marzo e che aiuteranno ad affrontare l’emergere di nuovi contagi e varianti”. Al di là delle cifre, dei calcoli, del dibattito su quali categorie meritino più di altre la priorità, ciò che tutti bramano è una campagna massiva e rapida, per tornare presto a quella normalità ormai perduta da oltre un anno.
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