Coronavirus, Mavrilimumab promosso da studio San Raffaele

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“Tutti e tredici i pazienti curati in modo sperimentale con Mavrilimumab sono guariti e sono vivi. Tra i pazienti che invece non abbiamo potuto curare allo stesso modo, perché la quantità del farmaco a disposizione non ce lo ha permesso, alcuni si sono lentamente ripresi grazie alle cure standard, altri purtroppo sono deceduti”. Questa la sintesi fatta dal professor Lorenzo Dagna del San Raffaele di Milano, coordinatore dello studio condotto dal reumatologo Giacomo De Luca sull’anticorpo capace, secondo l’istituto, di rallentare l’infiammazione da coronavirus nei pazienti gravemente sintomatici.

I risultati dello studio dell’ospedale milanese sono stati pubblicati oggi sulla rivista scientifica Lancet Rheumatology e rappresentano un possibile importante passo in avanti nella lotta al coronavirus, che dall’inizio della pandemia ha colpito più di otto milioni di persone in tutto il mondo, causando più di 440mila decessi.

Come funziona l’anticorpo

Il professor Dagna spiega così il funzionamento del Mavrilimumab: “Questo anticorpo si lega a una molecola presente sulle cellule dell’infiammazione, anche delle persone sane, bloccando la capacità di questa molecola di far crescere l’infiammazione. In sostanza, andiamo ad interferire nel meccanismo dell’infiammazione in generale, ipotizzando di poterlo fare anche nei pazienti che hanno contratto il Covid-19. Il farmaco era infatti in sperimentazione per l’arterite a cellule giganti e uno dei centri coinvolti è proprio il San Raffaele, con il gruppo di Dagna.

“Proprio questo utilizzo – prosegue ancora il medico – ci ha permesso che questo farmaco sia efficace anche per curare il coronavirus, non solo per curare altre malattie infiammatorie per il quale questo farmaco era stato pensato”.

“Nessun effetto collaterale registrato”

Dalle parole del coordinatore dello studio del San Raffaele traspare ottimismo anche sulla sicurezza del farmaco: “L’aspetto positivo e confortante è che non sono stati registrati effetti collaterali – spiega il professor Dagna –. Questo potrebbe permettere, una volta conclusa la sperimentazione, di poter utilizzare il farmaco anche nelle fasi iniziali della malattia”.

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