Una volta erano i pipistrelli, anzi i pangolini. Ora sono le arvicole rossastre, anche note come arvicole dei boschi. Questi animali, roditori tra i più diffusi in tutta Europa, presentano un nuovo tipo di Coronavirus, che la scienza ha individuato in queste ore. Lo ha fatto grazie a una ricerca che ha avuto luogo in Svezia.
Il nuovo Coronavirus ha ricevuto il nome di Virus Grimsö, dal nome della località a ovest di Stoccolma in cui sono stati raccolti gli animali. Ebbene, secondo gli scienziati che hanno effettuato i test, il 3,4% degli esemplari sottoposti ad analisi presentano l’agente patogeno. E ora l’obiettivo è quello di capire quali conseguenze possano esserci per l’uomo.
La scoperta si deve a un team di ricerca internazionale guidato da scienziati svedesi del Dipartimento di Biochimica e Microbiologia medica dell’Università di Uppsala. Con loro ha lavorato il Dipartimento di Zoologia dell’Università di Oxford (Regno Unito) e quello dell’Istituto per le Malattie Infettive dell’Università di Sydney (Australia). L’analisi riguarda circa 450 arvicole catturate a Grimsö tra il 2015 e il 2017.
Ebbene, il cosiddetto “Coronavirus di Grimsö” appartiene alla famiglia dei betacoronavirus. La stessa che include il SARS-CoV-2 (quello che ha scatenato la pandemia di Covid-19), ma anche gli agenti patogeni che provocano la Sars e la Mers. E non solo il virus risulta essere ben comune e radicato tra la popolazione delle arvicole, ma queste ultime sono ampiamente in contatto con gli esseri umani. In particolare in presenza di condizioni meteorologiche avverse, quando cercano riparo negli edifici costruiti dall’uomo. E proprio questo aspetto è ciò che crea maggiore allarme nella scienza.
Se infatti gli studiosi stanno monitorando con grande cura il nuovo Coronavirus, proprio per evitare eventuali ulteriori pandemie. E, in tal senso, l’apprensione c’è. Il rischio che avvenga il cosiddetto spillover (cioè il passaggio della malattia dai roditori all’uomo) non è infatti da escludere. Ciò che ancora non si conosce è invece l’eventuale pericolosità per l’uomo, e proprio su questo si concentra il lavoro che i ricercatori di Uppsala stanno ora effettuando.
La pericolosità delle arvicole per l’uomo, peraltro, non rappresenta certo una novità. Questi roditori, infatti, sono già noti alla scienza per essere portatori del virus Puumala, che all’uomo scatena la nefropatia endemica. Ossia una febbre emorragica con sindrome renale, che però fortunatamente è spesso lieve e soprattutto non contagiosa. Discorso diverso per l’eventuale Coronavirus, che ora gli esperti analizzeranno a fondo per evitarne la diffusione.
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