Il salario minimo non smette di far discutere e dividere i protagonisti della politica italiana. Il centrodestra continua a essere contrario alla misura, come dimostrato dalla recente decisione di depositare in commissione Lavoro alla Camera un emendamento soppressivo della proposta di legge sul tema, sottoscritta da quasi tutti i partiti di opposizione (tranne Italia Viva). Alcuni esponenti della maggioranza hanno sottolineato che nel recente passato sono state organizzate varie audizioni sul salario minimo svolte in commissioni, la maggior parte delle quali hanno espresso contrarietà a un salario minimo regolato per legge.
Negli ultimi giorni la questione è stata ripresa dalla segretaria del Pd Elly Schlein, che ha ribadito la volontà di continuare a battersi per il salario minimo, soprattutto per tutelare i “tre milioni e mezzo di lavoratrici e lavoratori che sono poveri anche se lavorano”. Diversa la posizione di Antonio Tajani, il ministro degli Esteri, che nel corso di un intervento all’Assemblea di Coldiretti ha espresso la convinzione che non sia necessario introdurre un tetto minimo al di sotto del quale il compenso di un dipendente non possa andare. “Serve un salario ricco, perché non siamo nell’Unione Sovietica in cui tutti avevano lo stesso stipendio”, ha affermato.
Da questa dichiarazione di Tajani emerge un grosso problema: la mancata consapevolezza dell’effettiva utilità del salario minimo. Al di là del fatto che in questo periodo storico ben pochi lavoratori riescono ad ambire a un compenso “ricco”, il paragone improprio con l’Urss rischia di portare il lettore meno informato a farsi un’idea distorta della misura. Il salario minimo, infatti, non dovrebbe servire a rendere uguali i compensi dei lavoratori, bensì a permettere a ciascuno di loro di avere la certezza di una paga quantomeno dignitosa a fine mese.
L’introduzione della misura permetterebbe di contrastare le tante situazioni di sfruttamento presenti in Italia, soprattutto per quanto riguarda le categorie meno tutelate dai contratti collettivi nazionali. Inoltre, idealmente il salario minimo non dovrebbe rappresentare un traguardo, bensì un punto di partenza dal quale procedere per continuare a restituire condizioni sempre più dignitose ai lavoratori. Per renderlo tale sarebbe chiaramente necessario mettere in piedi un sistema di sorveglianza che impedisca ai datori di lavoro di “fare i furbi”, magari con controlli a cadenza regolare.
Il paragone con l’Unione Sovietica, inoltre, fa sembrare il salario minimo come una misura antiquata o legata a ideologie superate, quando in realtà è attuale ed è presente in Paesi come Stati Uniti, Germania, Francia, Spagna e Regno Unito. Per quanto riguarda il “compenso ricco”, al momento per molti lavoratori italiani è un miraggio, proprio a causa delle condizioni di sfruttamento rese possibili dall’assenza di tutele efficaci. Tajani sembra comunque essere consapevole della necessità di un cambiamento, perché nel corso del suo intervento ha sottolineato la necessità di “realizzare una rivoluzione liberale”, finalizzata a garantire un maggior benessere economico per gli italiani. Un progetto che, a conti fatti, non sembra per nulla incompatibile con una misura come il salario minimo, che spingerebbe proprio nella direzione indicata dal ministro degli Esteri.
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