Il governo sarà impegnato “a valutare di prevedere che le elezioni amministrative 2022 e i referendum sulla giustizia si svolgano in una unica tornata”. La Camera dei Deputati ha approvato un ordine del giorno, presentato dal leghista Igor Iezzi, per accorpare nell’Election Day le prossime elezioni comunali e i referendum sulla giustizia. Il governo si era rimesso all’Aula. I voti favorevoli sono stati 372. 7 i contrari e un astenuto. In pratica la Lega sta chiedendo alla ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, di stabilire un giorno unico per i referendum sulla giustizia, che hanno appena ottenuto il via libera della Corte Costituzionale, e per il primo turno delle elezioni amministrative. Anche per evitare di sprecare risorse pubbliche (circa 200 milioni di euro). Tuttavia la scelta del titolare del Viminale non sarà semplicissima, per via di motivi politico-istituzionali. Vediamo perché.
Naturalmente molto dipende dai rispettivi punti di vista. Coloro che sono favorevoli ai referendum abrogativi sulla giustizia (Lega in primis) propenderebbero per l’accorpamento con le elezioni Comunali. In questo modo, infatti, si agevolerebbe un avvicinamento dell’affluenza a quel 50% necessario affinché i responsi sui quesiti vengano considerati validi. Inoltre i promotori dei quesiti adducono anche un motivo economico (non trascurabile), per cui con l’Electon Day si risparmierebbero circa 200 milioni di euro. Stando però ai precedenti storici, nella nostra storia repubblicana (dove si sono svolti una sessantina di referendum abrogativi) non c’è stato mai un accorpamento con un’elezione politica, europea o amministrativa (al massimo al ballottaggio). Nonostante che in molti casi le consultazioni siano spesso avvenute in tempi assai ravvicinati.
Nel 2000, per esempio, durante il governo D’Alema, si votò il 16 aprile per le regionali e il 21 maggio per sette referendum proposti dai radicali. Nel 2016, poi, l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, fissò la data del referendum sulle trivelle non a giugno (insieme alle Comunali di Roma, Milano, Torino e Napoli). Bensì il 17 aprile. Ovvero la prima domenica disponibile nel lasso temporale previsto dalla Costituzione (15 aprile-15 giugno). “Non avremmo potuto accorpare il referendum con le amministrative, neanche se lo avessimo voluto, perché una legge ce lo impedisce”, dirà Renzi subito dopo il risultato.
Il motivo è chiaro. La disciplina costituzionale del referendum abrogativo consente all’elettore tre possibilità. Non solo il voto favorevole o contrario all’abrogazione, ma anche l’astensione. Che può essere un vero e proprio rifiuto della questione posta dai promotori per evitare che la partecipazione tagli il traguardo della metà più uno degli aventi diritto al voto. L’astensione è quindi il modo più chiaro per esprimere una specie di voto di sfiducia nei confronti dei promotori del referendum. Anche questo modo di esprimere la propria volontà di voto, secondo molti costituzionalisti, deve quindi rimanere segreto.
Se invece l’elettore, che vorrebbe presentarsi alle urne per votare “solo” il suo prossimo sindaco, fosse costretto a dichiarare al presidente di seggio di volersi astenere, questa volontà non sarebbe più tutelata (in un certo senso) dal “segreto dell’urna”. Certo, è pur vero che se un elettore non va a votare per il referendum non viene registrato nell’elenco dei votanti. Ma rimane segreta la propria intenzione. Potrebbe non essere andato a votare perché malato, perché bloccato nel traffico o da un problema familiare, ecc.
In questo senso, è interessante anche il precedente costituzionale del 2011, quando il Comitato promotore del referendum del 12-13 giugno sollevò conflitto di attribuzione chiedendo l’accorpamento dello svolgimento del referendum alle elezioni amministrative, avverso la decisione del governo pro tempore che affermava, per bocca al ministro competenze, la prevalenza di “una tradizione italiana che ha sempre distinto le due date”.
Ad ogni modo la Corte costituzionale con ordinanza n. 169 del 2011 redatta da Sabino Cassese rigettò il ricorso dei promotori. Si affermò che “il mancato accorpamento dei referendum con le elezioni amministrative di per sé non agevola, ma neppure ostacola, lo svolgimento delle operazioni di voto referendario e non è suscettibile di incidere sulle attribuzioni costituzionalmente garantite del comitato promotore”. E che “non è configurabile, in ordine alla scelta della data, una specifica potestà costituzionalmente garantita del comitato promotore”. Insomma, la decisione del ministro Lamorgese non sarà affatto facile da assumere.
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