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POLITICA

Migranti, Regioni contro i Cpr. Come funzionano i Centri per il rimpatrio

A poche ore dalla decisione del Consiglio dei ministri di ampliare la rete dei Cpr, i Centri di permanenza per il rimpatrio, le Regioni sono già sul piede guerra. Il ministro degli Interni Matteo Piantedosi dal canto suo minimizza: “Resistenze ci saranno, noi dialogheremo con tutti, ovviamente lo faremo cercando però di imporre la linea del governo”.

Dove sorgeranno i nuovi Cpr

Con l’obiettivo di aumentare i rimpatri, il Cdm ha portato da 6 a 18 mesi il tempo massimo di trattenimento nei Cpr, come quando ministro dell’Interno era il leghista Roberto Maroni e i centri di chiamavano Cie (Centri per l’identificazione e l’espulsione).

Tutto il tempo necessario, non solo per fare gli accertamenti dovuti, ma anche per procedere con il rimpatrio di chi non ha diritto alla protezione internazionale”, ha notato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Al momento i Cpr operativi sul territorio sono solo nove. Per questo il Genio militare realizzerà nuove strutture in località “a bassissima densità abitativa e facilmente perimetrabili e sorvegliabili”, senza creare “ulteriore disagio e insicurezza nelle città italiane”. Potranno essere caserme, aree militari dismesse o altri edifici che dovranno essere ristrutturati.

L’ultima finanziaria ha stanziato 42,5 milioni di euro per i prossimi tre anni proprio per l’ampliamento della rete. L’obiettivo di un Centro in ogni regione del resto non è nuovo. Diversi governi ci hanno provato in precedenza senza riuscirci soprattutto per l’opposizione dei territori.

Il Viminale ha avviato una ricognizione, affidata ai prefetti, per individuare strutture idonee lontane dai centri abitati nelle 12 regioni che ne sono sprovviste: Calabria, Campania, Abruzzo, Molise, Marche, Umbria, Toscana, Emilia Romagna, Liguria, Valle d’Aosta, Veneto e Trentino Alto Adige. Le proposte, ha riferito Piantedosi, “stanno arrivando, le stiamo valutando”.

Un accordo è stato trovato in Alto Adige, mentre in Liguria potrebbe essere scelta un’area vicino a Ventimiglia.

La capienza dovrebbe oscillare tra 50 e 200 posti e la sorveglianza continuerà ad essere affidata alle forze di polizia. Il decreto approvato lunedì ha inserito i Cpr tra le “opere destinate alla difesa e alla sicurezza nazionale”, accelerando le procedure di realizzazione.

Il capo del Viminale ha affermato che i Cpr ospiteranno “quelle persone che girano per il territorio senza permesso di soggiorno e che hanno condizioni di pericolosità secondo un provvedimento di trattenimento che viene convalidato dal giudice“.

Regioni sulle barricate

Tra le Regioni c’è chi è sulle barricate e chi invece è disponibile. In prima fila tra gli oppositori, i governatori di centrosinistra. “Non darò l’ok a nessun Cpr in Toscana. Si stanno prendendo in giro gli italiani perché il problema dell’immigrazione è come farli entrare e accoglierli, non come buttarli fuori“, ha detto il presidente della Toscana Eugenio Giani. “Cosa c’entra il Cpr come risposta ai flussi emergenziali?”.

Il presidente del Veneto Luca Zaia dal canto suo ha detto che nella Regione sono oltre “9mila le persone ospitate e la misura è colma”. A ogni modo, ha chiarito il leghista, “su un Cpr in Veneto io non ho mai parlato con nessuno. Noi non siamo stati contattati”.

Scettico un altro governatore dem, il campano Vincenzo De Luca: “Non abbiamo capito ancora cosa voglia realizzare il governo, quindi siamo nell’impossibilità di esprimerci. Noi abbiamo già qui centri di accoglienza“. Il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini ha annunciato che “a breve” avrà un incontro con Piantedosi.

Aperture sono arrivate invece da Michele Emiliano, presidente della Puglia, che però già ospita due Cpr operativi, a Bari e a Brindisi: “Io delle politiche migratorie del governo penso, come tutti gli italiani, che siano un disastro. Però non è il momento di dare giudizio. Se il governo ha bisogno della Puglia bussa, chiede e la Puglia è a disposizione“.

Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi – Foto | Newsby.it

Alto Adige, ok a Cpr solo per esigenze locali

Il governatore dell’Alto Adige Arno Kompatscher ha spiegato i termini dell’intesa siglata con il Viminale: “Il Cpr servirà solo per le esigenze locali e non ci saranno trasferimenti da altre regioni”. Il Centro avrà una capienza di circa 50 posti e sarà individuato, finanziato e gestito direttamente da Roma.

Cosa sono i Centri di permanenza per il rimpatrio

I Centri di permanenza per il rimpatrio non vanno confusi con i centri di prima accoglienza sparsi in tutte le regione. I Cpr sono luoghi di trattenimento dei cittadini non comunitari in attesa di espulsione. Si tratta dunque di strutture per la detenzione amministrativa di chi è sprovvisto di permesso di soggiorno oppure è già destinatario di un provvedimento di espulsione. La permanenza, in accordo con la normativa europea, è di 6 sei mesi, prorogabile al massimo di altri 12. Un periodo durante il quale si procede all’identificazione finalizzata all’eventuale espulsione.

Attualmente le strutture operative sono nove, escluso il Cpr di Torino,  chiuso per ristrutturazione. I posti complessivamente a disposizione sono 619 distribuiti fra Bari, Brindisi, Trapani, Roma, Palazzo San Gervasio (Potenza), Gradisca d’Isonzo (Gorizia), Macomer (Nuoro), Milano e Caltanissetta.

Le persone trattenute nei Cpr vengono sottoposte a un regime di privazione della libertà per aver violato una disposizione amministrativa, come quella del possesso del permesso di soggiorno.

Le norme prevedono che, qualora non sia possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera, il questore dispone che il cittadino straniero venga trattenuto per il tempo strettamente necessario nel centro più vicino.

Istituiti nel 1998 dalla Legge Turco-Napolitano con il nome di Cpt (Centri di permanenza temporanea), sono stati ribattezzati Cie (Centri di identificazione e espulsione) dalla Legge Bossi-Fini del 2002 e infine rinominati Cpr dalla Legge Minniti-Orlando del 2017.

Originariamente la durata massima della detenzione amministrativa era fissato in 30 giorni. Con successive modifiche, il termine è stato esteso fino a 180 giorni.

Cpr un “buco nero” dove vengono violati i diritti

Secondo le norme nazionali e le direttive europee, alle persone trattenute nella strutture deve essere assicurata assistenza e il pieno rispetto della dignità.

In realtà, come ampliamento documentato nel corso degli anni, nei Cpr non vengono garantire le condizioni minime prescritte dalla legge. “Sono buchi neri in cui si verificano continue gravi violazioni dei diritti fondamentali dei migranti trattenuti. Si tratta di strutture gestite da società e cooperative private che, con i soldi dei contribuenti, fanno profitto sulla pelle delle persone”, è la denuncia della Coalizione italiana libertà e diritti civili.

Secondo Cild, il decreto approvato dal Consiglio dei ministri è un “provvedimento inutile, che non serve a gestire il fenomeno migratorio, né ad aumentare i rimpatri” e al tempo stesso “un provvedimento costoso. Dal punto di vista economico e umano”.

Federica Giovannetti

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