La conferenza stampa di fine anno di Mario Draghi può assumere un valore diverso rispetto a quelle di tutti gli altri suoi predecessori. Del resto quella dell’ex presidente della Banca Centrale Europea non poteva limitarsi a un classico bilancio dell’anno solare in corso, durante il quale lui è stato capo di governo quasi interamente (dal 13 febbraio scorso). Oltre che sull’imminente gestione della pandemia, le (legittime) curiosità dei giornalisti presenti al Auditorium Antonianum di Roma erano circoscritte al futuro politico di Draghi: si proporrà come candidato autorevole per la Presidenza della Repubblica oppure preferirà continuare a lavorare a Palazzo Chigi?
“È abbastanza offensivo nei confronti del Presidente della Repubblica in carica cominciare a pensare in questo modo. Non sono la persona giusta a cui fare questa domanda, le persone giuste sono in Parlamento. È il Parlamento che decide della vita, dell’orizzonte, dell’efficacia di questo governo. Se il governo diventasse non efficace perderebbe la sua ragione di esistere”. Mario Draghi aveva risposto così sull’eventualità di una sua elezione come successo di Sergio Mattarella lo scorso 29 settembre. “Questo governo è nato per rispondere ai problemi specifici di un periodo del Paese e sta facendo il suo lavoro, il resto non conta niente e non può contare niente, perché non sono io la persona a cui fare queste domande”, prosegue.
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Il dibattito sul prossimo capo dello Stato va avanti ormai da mesi. Tra i nomi, rimane inevitabilmente in testa quello del presidente del Consiglio. E fu proprio il capo del governo a chiarire, in maniera ruvida: “Questa domanda mi viene fatta almeno una volta ogni ora. Me la fate sempre… La risposta è sempre la stessa: io non sono la persona giusta a cui fare questa domanda. Le persone giuste sono in Parlamento”. E anche nella giornata di oggi, mercoledì 22 dicembre, la sua reazione non è stata da meno; ripetendo in maniera fredda i concetti utilizzati tre mesi fa. Anche se è sibillina una sua espressione in particolare. “Non ho particolari aspirazioni personali. Sono un uomo, un nonno, al servizio delle istituzioni. La grandezza del Paese non è determinata da un singolo individuo, ma è determinata da un complesso di forze, di persone e di sostegno politico che permettono di andare nella direzione giusta”.
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“Credo che il messaggio a Mattarella debba essere di affetto; è quello che provano per prima cosa tutti gli italiani. Ha svolto splendidamente il ruolo ma l’ha fatto con dolcezza e fermezza; ha attraversato momenti difficilissimi nel settennato e ha scelto con lucidità e saggezza. È l’esempio, il modello”.
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Quello fu un modo per sviare in qualche modo il tema. Il fatto, comunque, di glissare (seppur con qualche imbarazzo) l’argomento nascose in qualche modo una volontà da parte di Draghi di autocandidarsi come capo dello Stato. Certo, per questioni istituzionali e di opportunità, il presidente del Consiglio non potrà mai annunciare pubblicamente la propria volontà di salire al Colle più alto. Almeno fino a fine gennaio. Se però dovesse essere proprio suo il nome che metterebbe d’accordo la maggioranza assoluta dei grandi elettori, a quel punto le strade (opposte) che potrebbe percorrere sarebbero sostanzialmente due: o essere eletto al massimo entro la quarta votazione oppure dimettersi da presidente del Consiglio. Difficile, infatti, ritenere che possa proseguire la propria esperienza di governo se i franchi tiratori lo affossassero: vorrebbe dire che, nel segreto dell’urna, non avrebbe più di fatto la fiducia della sua maggioranza.
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