E quindi, ora è arrivato ufficialmente il momento di Mario Draghi. L’ex presidente della Banca Centrale Europea è dunque il presidente del Consiglio incaricato (mandato accettato, come da prassi, con “riserva”) per cercare di mettere fine alla crisi di governo e assicurare un esecutivo solido all’Italia per i prossimi due anni, ovvero fino alla scadenza costituzionale della legislatura. Il probabile successore di Giuseppe Conte è colui che nel luglio del 2012 con tre parole ha salvato l’euro. Il celebre “Whatever it takes” (“faremo qualsiasi cosa perché l’euro resista” alla speculazione che in quei giorni sta attaccando la moneta senza uno Stato). Conosce benissimo i mercati. Sa chi sono gli avversari della moneta unica e conosce chi si muove sui mercati per trovarne le falle e poterci guadagnare. Anche perché ha lavorato per loro.
Classe 1947, dopo avere studiato al liceo Massimiliano Massimo di Roma dai gesuiti, nel 1970 si laurea in Economia alla Sapienza con relatore Federico Caffè. Quest’ultimo, keynesiano, era uno degli economisti più in vista in Italia e la sua scomparsa resta ancora un mistero. Farà comunque in tempo ad avviare Draghi verso il Mit di Boston affinché studi con il premio Nobel Franco Modigliani.
Nel 1991 viene richiamato in Italia da Guido Carli. Da sei era, infatti, direttore esecutivo della Banca mondiale. Ma Carli, ministro del settimo governo Andreotti, lo vuole al Tesoro, su suggerimento di Carlo Azeglio Ciampi, allora governatore della Banca d’Italia. Saranno dieci anni di scosse quelli trascorsi in via XX settembre, tra la speculazione contro la lira e i negoziati che porteranno al trattato di Maastricht. A Palazzo Chigi passeranno Berlusconi, Dini, Prodi, D’Alema, ma Draghi rimarrà al suo posto. Dovrà sostenere l’uscita della lira dallo Sme. Arriveranno le grandi privatizzazioni. E sarà attaccato per decenni per aver voluto vedere gli investitori finanziari sul panfilo Britannia della regina Elisabetta.
Nel 2002 per pochi anni è in Goldman Sachs, una delle banche d’affari più potenti e ramificate al mondo. Quei tre anni avrebbero potuto persino costargli lo sbarco alla Bce, ma non sarà così. Dopo i sei alla guida di Bankitalia, Mario Draghi entra ufficialmente in carica il 1° novembre 2011 come numero uno dell’Istituto centrale di Francoforte. Dopo otto anni di incarico lascia il posto a Christine Lagarde e per un po’ non apparirà in pubblico. Almeno fino a quel discorso programmatico tenuto al Meeting di Rimini il 18 agosto scorso.
Sono proprio quelle le settimane nelle quali Giuseppe Conte sembra ormai essere insidiato dall’ombra di Draghi come sostituto a Palazzo Chigi. Durante la festa del Fatto Quotidiano del 5 settembre, il presidente del Consiglio dimissionario dichiarò: “Quando si è lavorato per nuova una Commissione europea fu proposto innanzitutto Timmermans ma alla fine non andò a buon fine. Subito dopo io stesso cercai di creare consenso per Mario Draghi, lo avrei visto bene come presidente. Lui mi disse che non si sentiva disponibile perché era stanco della sua esperienza europea”. Per poi aggiungere: “Non lo vedo come un rivale, ma come un’eccellenza”. Parole che, naturalmente, viste con gli occhi di oggi assumono naturalmente tutt’altro aspetto. Sempre che le regole anti Covid lo permetteranno, è quasi certo che sarà proprio Conte a passare di mano la classica campanella del governo.
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