Rileggiamo bene attentamente queste parole, datate 26 agosto 2020. “Sosteniamo da sempre la riduzione del numero dei parlamentari. Tuttavia per votare Sì e far nascere il governo abbiamo chiesto modifiche dei regolamenti parlamentari e una nuova legge elettorale, per scongiurare rischi di distorsioni nella rappresentanza e tutelare adeguatamente i territori, il pluralismo e le minoranze. Tutta la maggioranza ha sottoscritto questo accordo, ora faccio un appello affinché sia onorato. Il Sì va considerato solo un primo passo, in sé insufficiente di una riforma complessiva del bicameralismo e dell’insieme dell’attività legislativa ma, se c’è la volontà politica, si può approvare la riforma elettorale di un ramo del Parlamento prima del referendum”.
Era uno stralcio di un’intervista che l’allora segretario del Partito Democratico, Nicola Zingaretti, rilasciò al Corriere della Sera. Bene, è passato un anno esatto da quel referendum confermativo che vide il 70% degli italiani favorevole al taglio dei parlamentari. E quella promessa, ovviamente, non è stata minimamente rispettata. Il presidente della Regione Lazio aveva chiesto agli alleati del Movimento 5 Stelle (e agli altri partiti di maggioranza) di accelerare sulla nuova legge elettorale in cambio del Sì del partito al referendum. Possibilmente prima del voto del 20 e 21 settembre 2020. Niente da fare.
C’è comunque da dire che, in effetti, che il 10 settembre dell’anno scorso la commissione Affari costituzionali aveva approvato il testo base del Germanicum (o Brescellum). Un sistema proporzionale con soglia di sbarramento al 5%. Pd e M5s avevano votato a favore, mentre Leu e +Europa si erano astenuti. Italia viva non aveva partecipato al voto e il centrodestra, dopo vari tentativi di ostruzionismo, decise di uscire dall’aula in segno di protesta. Tuttavia l’accordo su quella proposta di legge elettorale saltò a fine anno. Poche settimane prima il governo Conte 2 aveva approvato il decreto che ridisegna i collegi alla luce della riduzione di deputati e senatori.
Oltre a quella del deputato Giuseppe Brescia (dal quale prende il nome il nome “Brescellum”) ci sarebbe però ora anche la proposta di Enrico Letta, che potrebbe essere messa in cantiere qualora venisse eletto deputato nelle suppletive di Siena. In sintesi la proposta del nuovo segretario del Pd si compone di un sistema a doppio turno: vince, al primo, chi supera il 40% dei votanti (e non degli elettori o aventi diritto al voto). Un’asticella posta volutamente così alta perché difficile da superare per qualsiasi coalizione, anche forte. E poi un ballottaggio (detto secondo turno) cui accedono le due coalizioni (o i due partiti) meglio piazzati al primo turno. Ballottaggio che, però, assegna un “premio” alla coalizione (o partito) vincente solo fino al 55% dei seggi presenti in Parlamento. È un modo raffinato per non far “vincere troppo” il trionfatore scelto dagli elettori. E, dunque, per impedirgli, in buona sostanza, di cambiare la Costituzione o di eleggersi, da solo, il futuro presidente della Repubblica (stiamo già parlando del 2029).
La domanda che ora ci si pone è: accetterà la Lega questa nuova legge elettorale? Per Salvini il maggioritario è storicamente allettante. Il doppio turno meno. Vedremo. Anche perché qualche mese fa, lo stesso Salvini ha risposto così a una domanda specifica: “Non ci sto proprio pensando, e a me va bene quella che c’è. A me va bene il maggioritario che c’è. Spero non si perda tempo su queste cose “. In questa ipotesi, ancora molto in erba, non è chiaro ancora lo sbarramento per le forze coalizzate (semmai il 3% e non certo il 5% oppure con soglia variabile a seconda della grandezza dei collegi) e come saranno eletti i parlamentari. Con liste bloccate corte (modello proporzionale, alla spagnola)? Tutti collegi uninominali, dove vale il principio che il primo vince tutto (tipico dei sistemi anglosassoni)? I dettagli che saranno chiari solo quando verrà formulato un vero testo.
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