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“Lega divisa in due? Non mi risulta. Queste cose le dicono i giornalacci come i vostri”. Il senatore leghista Stefano Candiani ne è certo. E a fargli eco c’è un altro compagno di partito, il senatore Pietro Pisani che rimarca: “C’è una sola Lega ed è così dal 1994”. Le poche parole concesse ai cronisti da due (seppur importanti) esponenti del partito, non sembrano però aver distolto l’attenzione dai malumori interni al Carroccio.
Malumori che saranno al centro del consiglio federale di questa sera, giovedì 4 novembre, con la “resa dei conti” fra le due correnti più forti all’interno della Lega. Da un lato quella sovranista, capeggiata dall’attuale segretario, Matteo Salvini; dall’altra quella governista, che ha come punto di riferimento l’attuale ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti.
Ma, secondo molti osservatori, dal vertice di questa sera potrà emergere anche una chiara indicazione sul futuro del più antico partito dell’arco parlamentare. E, perché no, anche sul suo prossimo leader. La scelta di Salvini di strizzare l’occhio alla destra sovranista anche in Europa, infatti, non è vista di buon grado da diversi esponenti della Lega, che invece puntano all’ingresso nel Partito popolare europeo.
Motivo per cui ci si inizia già a interrogare sulla leadership di via Bellerio, che per la prima volta dalla sua fondazione appare sempre più diviso in due correnti interne; nonostante le rassicurazioni di Candiani e Pisani. Dal consiglio federale potrebbe dunque emergere la volontà di un cambio di rotta, che passa inevitabilmente per una nuova figura di comando. A meno che, ovviamente, non si trovi una quadra per la gestione del pluralismo interno.
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Storicamente la Lega (ex Nord) non predilige frequenti cambi al vertice, comuni invece per il centrosinistra. Basti pensare che in circa trent’anni ha avuto solo tre segretari: Umberto Bossi, Roberto Maroni e Salvini, appunto. La leadership del “Capitano” appare però debole in questo momento, soprattutto per le difficoltà nel controllare le voci di dissenso interne.
Soprattutto se la voce è quella di un esponente di spicco del partito come Giorgetti, punto di riferimento per il panorama industriale del Nord Italia. Il suo, infatti, è il primo nome del possibile successore di Salvini. Con lui la Lega andrebbe verso il Ppe a Bruxelles; mentre a Roma punterebbe a consolidare il suo ruolo all’interno del Governo, in cui Giorgetti guida peraltro un dicastero delicato, molto pragmatico e poco esposto al clamore mediatico, come il Mise.
Ma alle spalle dell’uomo forte del Carroccio nell’esecutivo, crescono anche le quote di altre due figure di primo piano. La prima è quella di Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, che soprattutto durante la pandemia ha imboccato una strada diversa da quella tracciata da Salvini. Una presa di posizione netta, che ha avuto come stella polare la tutela della salute dei cittadini veneti. E che allo stesso tempo ha portato Zaia ad acquisire consenso nonché una maggiore voce in capitolo per le questioni interne alla Lega.
Sulla scia di Zaia e Giorgetti troviamo infine Massimiliano Fedriga, governatore del Friuli-Venezia Giulia e presidente della Conferenza delle Regioni. Anche nel suo caso la gestione della crisi pandemica ha fatto da megafono per la sua voce. In particolar modo negli ultimi giorni, quando cioè Fedriga non ha usato mezzi termini per criticare le manifestazioni No green pass di Trieste. Sulle quali, invece, la voce di Salvini non si è praticamente fatta sentire.
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