Dopo il caso del presepe nelle scuole, la senatrice di Fratelli d’Italia Lavinia Mennuni torna a far discutere. Non sono piaciute le affermazioni sulla “missione di mettere al mondo dei bambini” che spetterebbe alle donne. “La prima aspirazione deve essere quella di diventare mamma”, ha detto in tv. Sulle barricate le opposizioni, con il Movimento 5 stelle che parla di “nostalgia per il Medioevo” mentre Italia Viva le bolla come “imbarazzante arretratezza”.
Ospite di La7, Mennuni ha spiegato che per riempire le culle vuote “dobbiamo aiutare le istituzioni, il Vaticano, le associazioni” a far sì “che la maternità torni a diventare di nuovo cool. Dobbiamo far sì che le ragazze di 18 anni, di 20 anni, vogliano sposarsi e vogliano mettere su una famiglia“.
Dal Partito democratico, Cecilia D’Elia liquida le parole della senatrice come “trita ideologia, a cui non si accompagna nessuna politica che sostenga i progetti di vita delle ragazze e le possibili scelte di maternità“.
Vale la pena allora ripercorrere a ritroso le misure messe in campo finora dal governo guidato da Giorgia Meloni a favore delle donne e della natalità per rianimare un tasso di natalità che all’1,2 è tra i più bassi del Vecchio continente.
Diversi gli interventi contenuti nella Manovra 2024. A cominciare dallo sgravio fiscale al 100% per le lavoratrici madri. I paletti messi alla decontribuzione ne limitano però l’efficacia. Varrà solo per un anno e solo per le madri con almeno due figli. Stesso discorso per il bonus sugli asili nido. Il contributo per le rette delle scuole materne viene incrementato a 2.100 euro ma è destinato solo ai secondi figli nati dal primo gennaio 2024, ai nuclei con un minore minore di dieci anni e un tetto Isee massimo di 40mila euro.
Allo stesso tempo l’esecutivo di centrodestra ha innalzato l’Iva al 10% su assorbenti, tamponi e prodotti per l’infanzia. Dopo appena un anno, il governo ha elimina il taglio alla cosiddetta “tampon tax”, che nel 2022 aveva portato al 5% l’imposta sui prodotti per l’igiene femminile e per i bambini, come pannolini, latte in polvere e preparati per l’alimentazione.
Non gioca a favore dell’incremento delle nascite il taglio di 100mila posti agli asili nido, da 264.480 posti a 150.480, deciso dal governo con la revisione del Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Le opposizioni, sulle barricate, hanno denunciato un “altro colpo alle donne”.
Dopo il femminicidio della giovane Giulia Cecchettin, lo scorso novembre il Parlamento ha messo l’acceleratore dando il via libera al disegno di legge sul contrasto alla violenza sulle donne. Entusiasta la ministra per la Famiglia e le pari opportunità Eugenia Roccella, che ha parlato di un “salvavita”. Non la vedono così le opposizioni, che pure hanno votato il provvedimento. Il ddl, è la tesi, punta esclusivamente sulla “repressione” mentre non contiene misure sull’educazione e sulla prevenzione.
Il testo mira da un lato a rafforzare la protezione delle vittime di violenza attraverso le misure cautelari, dall’altro punta ad accelerare i tempi dei procedimenti che riguardano i reati di violenza di genere o domestica. Inoltre viene rafforzato il “Codice Rosso” grazie al potenziamento di strumenti come l’ammonimento e il braccialetto elettronico, che vengono applicati ai cosiddetti “reati spia”.
Lo scorso settembre il Codice rosso era stato riformato con l’approvazione della proposta di legge promossa dalla senatrice leghista Giulia Bongiorno. Le nuove norme puntano a velocizzare le indagini introducendo un’ulteriore ipotesi di avocazione delle indagini preliminari da parte del procuratore generale presso la Corte d’Appello.
E che molta strada resti ancora da fare sul fronte della prevenzione lo dimostrano i tagli che solo nell’ultimo anno si sono abbattuti sui fondi destinati al contrasto della violenza di genere. Dai 17 milioni di euro stanziati nel 2022 si è passati ai 5 del 2023, con una sforbiciata pari al 70%, come ha evidenziato l’ultimo report di Actionaid.
Senza contare che per gli interventi di educazione e sensibilizzazione, che hanno l’obiettivo di intervenire all’origine del fenomeno scardinando norme e comportamenti sociali, è stato stanziato solo il 5,6% rispetto al totale dei fondi antiviolenza erogati tra il 2020 e il 2023.
In compenso, grazie a un emendamento alla legge di Bilancio presentato dalle opposizioni e approvato all’unanimità, per il contrasto alla violenza sulle donne arriveranno 40 milioni di euro. Un tesoretto che i partiti della minoranza hanno messo insieme accorpando l’intera quota del fondo per le modifiche dei parlamentari. Servirà a finanziare il reddito di libertà, i centri antiviolenza, la prevenzione e la formazione.
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