Il ritorno del Labour, Keir Starmer primo ministro del Regno Unito. Il partito laburista riporta la vittoria dopo 14 anni di governo conservatore
Lo hanno definito l’uomo della porta accanto – tranquillo e rassicurante – con cui si può condividere una pinta di birra al pub parlando di calcio (è un grande tifoso dell’Arsenal). Scopriamo più da vicino la figura del neo eletto primo ministro britannico Keir Starmer.
Keir Starmer, avvocato 61 enne, ha riportato il Partito Laburista al governo nel Regno Unito dopo 14 anni, offrendo alla maggioranza silenziosa del Paese la promessa di un cambiamento moderato, basato più sul pragmatismo che sul carisma, come alternativa “al caos” dei governi conservatori.
Una sorta di New Labour trent’anni dopo, ma senza l’aura di innovazione e la giovane età di Tony Blair. Di Starmer, figura riservata e approdata tardi alla politica attiva, si può capire di più dalla vita personale: nato in un quartiere popolare a sud di Londra da un padre tecnico di fabbrica, Rodney Starmer, e da una madre infermiera, Josephine Baker, si trasferisce con la famiglia nel Surrey.
Le prime tracce d’interesse per la politica – stimolato anche dall’attivismo dei genitori – risalgono all’adolescenza, quando si iscrive ai “giovani socialisti”, la giovanile del Labour: una passione che cresce negli anni dell’università, finanziata sempre con borse di studio, prima a Leeds poi a Oxford, dove si laurea in legge.
La malattia della madre, costretta a vivere per anni da invalida, contribuisce in seguito alla sua decisione di diventare barrister, avvocato, specializzandosi in diritti umani e nella difesa di richiedenti asilo, ecoattivisti e condannati a morte.
Dopo il matrimonio con la collega Victoria Alexander, con cui ha avuto un figlio e una figlia, nel 2008 intraprende la carriera nella magistratura inquirente e viene nominato capo del Crown Prosecution Service (CPS), il procuratore generale dello Stato.
Questo incarico gli vale il cavalierato e il titolo di “sir”, conferitogli dalla regina Elisabetta alla fine del mandato. Durante gli anni da magistrato, Starmer costruisce la sua immagine di tutore del law and order, uno dei pilastri del suo programma di governo.
Nel 2015 viene eletto con il Labour alla Camera dei Comuni per il collegio borghese di Holborn and St Pancras, nel nord di Londra, e viene designato ministro ombra per la Brexit sotto la nuova leadership di sinistra radicale di Jeremy Corbyn.
Sebbene si sia opposto fermamente al divorzio britannico dall’UE, ora nega di voler rimettere in discussione la Brexit da premier, al di là di qualche riavvicinamento settoriale con Bruxelles.
Pur non condividendo il radicalismo di Corbyn, Starmer evita critiche pubbliche e attende la sua caduta per prendere il vertice del partito nel 2020, dopo la disfatta elettorale del 2019. Successivamente, mette in disparte la sinistra interna, culminando con l’espulsione dello stesso Corbyn per non aver fatto autocritica sulle infiltrazioni antisemite nel partito.
Questa mossa è accompagnata da uno spostamento verso posizioni sempre più centriste, se non neo-blairiane, per restituire al Labour l’immagine di forza di governo e non di protesta.
All’emorragia di iscritti militanti, delusi dall’“opportunismo” di Starmer, corrisponde un’attrazione di consensi tra elettori conservatori o indecisi, stanchi di 14 anni di governi Tory segnati da crisi, scandali e contraccolpi della Brexit.
Questi elettori sono rassicurati da un laburismo light che promette di mantenere una linea dura sull’immigrazione illegale, stabilità economica, rilancio della crescita e buoni rapporti con il business. Inoltre, Starmer garantisce una sostanziale continuità in politica estera: dal sostegno all’Ucraina contro la Russia e con la NATO, alla cautela verso Israele nel conflitto di Gaza.
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