Il protocollo tra Italia e Albania è in stallo: ritardi, problemi legali e incertezze politiche spingono il governo a valutare modifiche
Lunedì pomeriggio, un incontro cruciale si è tenuto a Palazzo Chigi, coinvolgendo i tecnici di vari ministeri tra cui Esteri, Giustizia, Interno e Affari europei. Al centro della discussione c’era il protocollo d’intesa firmato con l’Albania per la gestione dei centri per migranti a Gjader e Shengjin. Firmato il 6 novembre 2023 dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal primo ministro albanese Edi Rama, il protocollo prevedeva l’apertura di questi centri per il 20 maggio 2024. Tuttavia, a distanza di 15 mesi, i centri non sono stati ancora attivati, portando a un riconoscimento ufficiale delle difficoltà e dei fallimenti del progetto.
Le ragioni di questo stallo sono molteplici. Inizialmente, i lavori di costruzione dei centri hanno subito notevoli ritardi e un incremento dei costi, con la loro conclusione avvenuta solo a metà ottobre 2024, ben cinque mesi oltre la scadenza prevista. Da quel momento, nonostante le attese, i centri sono rimasti vuoti. La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che i tribunali italiani hanno bloccato il trasferimento dei migranti, ritenendo che non fosse conforme alle normative europee. Questa impasse legale ha evidenziato la fragilità del piano italiano e la difficoltà di attuare un modello di gestione dei migranti sostenibile e rispettoso dei diritti umani.
Il protocollo prevede che i centri di Gjader e Shengjin siano utilizzati esclusivamente per migranti che il governo italiano intende sottoporre a una procedura accelerata di rimpatrio. Tuttavia, una sentenza della Corte di Giustizia Europea del 4 ottobre ha stabilito parametri più rigorosi per la classificazione dei paesi come “sicuri”. Secondo questa sentenza, un paese deve essere considerato sicuro in tutte le sue aree e per tutte le minoranze. Di seguito alcuni punti chiave:
In risposta a queste difficoltà, la presidente Meloni ha richiesto l’elaborazione di un nuovo decreto-legge per modificare il protocollo. Le proposte di modifica al protocollo, attualmente all’esame del governo, includono la possibilità di cambiare la funzione dei centri. Attualmente, il centro di Shengjin è un hotspot per le prime procedure di identificazione dei migranti, mentre Gjader è diviso tra un centro d’accoglienza e un centro di permanenza per il rimpatrio (CPR). Le possibili modifiche includono:
Questa modifica avrebbe conseguenze significative, poiché potrebbe portare a una maggiore responsabilità dell’Italia nei confronti dei migranti, in virtù del regolamento di Dublino.
La situazione è ulteriormente complicata dalle imminenti elezioni parlamentari in Albania, previste per maggio, che rendono incerta la disponibilità del governo albanese ad accettare modifiche significative al protocollo. Inoltre, i centri di permanenza per il rimpatrio in Italia hanno dimostrato, nel corso degli anni, notevoli inefficienze e problematiche relative ai diritti umani.
In un contesto di crescente pressione migratoria, il governo italiano si trova ora di fronte a un bivio: continuare su un percorso che si sta rivelando fallimentare o ripensare radicalmente la propria strategia in materia di migrazione.
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