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Il centrosinistra e i referendum: riusciranno a vincere?

Il centrosinistra promuove tre referendum fra Jobs Act, autonomia e cittadinanza. Riuscirà a superare l’astensionismo e ottenere il quorum?

Nella primavera del 2025, è molto probabile che si terranno tre referendum abrogativi su tematiche politiche rilevanti. Negli ultimi mesi, infatti, sono state raccolte le firme necessarie – almeno 500.000 – per indire le consultazioni referendarie in tre ambiti distinti: uno per l’abolizione del Jobs Act, la legge sul lavoro introdotta nel 2015 dal governo Renzi; uno sull’autonomia differenziata, per cancellare la legge varata dal governo Meloni nel 2023, che attribuisce maggiori poteri alle regioni; infine, uno sulla modifica delle norme sulla cittadinanza, per ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza necessari a uno straniero per richiedere la cittadinanza italiana.

Il centrosinistra e i referendum: come stanno andando?

Queste raccolte firme sono state promosse da partiti, associazioni e movimenti di centrosinistra, che hanno dimostrato una forte unità nell’opposizione al governo di destra. Proprio per questa ragione, i tre referendum non riguardano solamente i temi specifici, ma stanno assumendo un significato politico più ampio. Essi si configurano come strumenti per mettere sotto pressione il governo in carica, che ha manifestato ostilità nei confronti di queste proposte.

Il centrosinistra e i referendum: riusciranno a vincere? – ANSA – Newsby.it

 

La prima fase del processo referendario, ossia la raccolta firme, ha ottenuto risultati notevoli. In particolare, il referendum per l’abrogazione del Jobs Act, promosso dalla CGIL, ha raccolto oltre 4 milioni di sottoscrizioni. Anche i referendum sull’autonomia differenziata e sulla cittadinanza hanno rapidamente raggiunto la soglia minima delle 500.000 firme, dimostrando l’interesse popolare verso queste tematiche. Tuttavia, il successo finale di questi referendum appare meno scontato. Perché un referendum abrogativo sia valido, infatti, è necessario che si raggiunga il quorum, cioè che vada a votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto, e che la maggioranza dei votanti si esprima a favore del quesito proposto.

Il raggiungimento del quorum sarà tutt’altro che semplice, vista la crescente tendenza all’astensionismo che caratterizza il panorama elettorale italiano degli ultimi anni. I dati mostrano che la partecipazione ai referendum è in calo da diversi decenni, con una generale disaffezione dell’elettorato verso questo tipo di consultazioni. Per far sì che i referendum del 2025 siano validi, più di 25,5 milioni di persone dovranno recarsi alle urne. Si tratta di una cifra molto alta, sia in termini assoluti che in rapporto alla partecipazione media al voto nelle elezioni recenti. Basti pensare che alle ultime elezioni europee del 2024, l’affluenza è stata del 48,3%, inferiore a quella necessaria per validare un referendum.

L’esito dei referendum potrà essere influenzato anche dalla data scelta per il voto. La legge stabilisce che i quesiti referendari debbano prima essere sottoposti al controllo della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, le quali verificheranno rispettivamente la validità delle firme e l’ammissibilità dei quesiti sul piano giuridico e costituzionale. Successivamente, il governo, in accordo con il Presidente della Repubblica, dovrà stabilire il giorno del voto, che dovrà essere compreso tra il 15 aprile e il 15 giugno 2025. I promotori dei referendum stanno già facendo pressione affinché venga organizzato un election day, cioè che tutti e tre i quesiti vengano votati nello stesso giorno. Questo aumenterebbe le possibilità di raggiungere il quorum, ma non è detto che il governo acconsentirà a questa richiesta.

Storicamente, in Italia, il raggiungimento del quorum nei referendum abrogativi è diventato sempre più difficile. Dal 1974, anno in cui si tenne il primo referendum di questo tipo, fino a oggi, sono stati organizzati 77 referendum. Di questi, solo 39 hanno raggiunto il quorum, e di questi 35 si sono svolti tra il 1974 e il 1995. Da quel momento in poi, su 29 referendum, solo 4 (quelli del 2011) sono risultati validi, dimostrando un chiaro calo di partecipazione da parte degli elettori.

Le ragioni di questo disinteresse sono molteplici. Negli anni Settanta e Ottanta, l’affluenza elettorale era molto più alta, e i referendum riguardavano questioni di grande rilevanza sociale, che mobilitavano un ampio spettro della popolazione. Tra i temi più sentiti ci furono il referendum sul divorzio del 1974, quello sul finanziamento pubblico ai partiti del 1978, e il referendum sull’aborto del 1981. Questi argomenti generarono dibattiti accesi sui media e spinsero milioni di italiani a partecipare al voto. L’affluenza in queste occasioni oscillava tra il 77% e l’87%, dimostrando quanto la popolazione fosse coinvolta.

Negli anni successivi, però, il referendum ha perso parte del suo impatto, in parte a causa dell’abuso di questo strumento per questioni meno sentite dal grande pubblico. Temi tecnici o di difficile comprensione, come quelli riguardanti l’ordinamento giudiziario o la procreazione assistita, non hanno saputo coinvolgere allo stesso modo l’elettorato, contribuendo al calo di interesse.

Inoltre, nel corso degli anni, è cambiata la strategia politica di chi si oppone ai referendum. Se negli anni Settanta e Ottanta anche i sostenitori del “no” facevano campagna per spingere i propri elettori a votare, negli ultimi decenni si è affermata la pratica di invitare all’astensione. Questo tipo di boicottaggio, seppur legittimo, ha reso ancora più difficile il raggiungimento del quorum.

Un’altra novità introdotta negli ultimi anni è la possibilità di raccogliere firme in formato digitale, a partire dal 2021. Questo ha reso il processo di raccolta firme più semplice e meno oneroso per i promotori, che non devono più allestire gazebo o mobilitare volontari per la raccolta fisica delle firme. Tuttavia, la facilità con cui si possono raccogliere le firme ha messo ulteriormente in evidenza le difficoltà nel raggiungere il quorum. Oggi si rischia di avere un numero crescente di quesiti referendari che, però, raramente si traducono in referendum validi, sminuendo così il valore di uno degli strumenti fondamentali della democrazia diretta.

Per fronteggiare queste problematiche, durante la scorsa legislatura sono state avanzate diverse proposte di riforma della legge sui referendum. Tra queste, una delle più rilevanti è stata quella presentata dal deputato del Partito Democratico Stefano Ceccanti, che proponeva di innalzare a 800.000 il numero di firme necessarie per indire un referendum, ma di rendere il quorum più flessibile. La sua proposta prevedeva che la consultazione fosse valida se il numero di votanti fosse stato superiore al 50% di quelli che avevano partecipato alle ultime elezioni politiche. Questa e altre proposte, però, non sono state approvate dal Parlamento.

In sintesi, i tre referendum del 2025 rappresentano un importante banco di prova per la partecipazione politica in Italia. Non solo pongono questioni cruciali come l’abolizione del Jobs Act, l’autonomia differenziata e la riforma della cittadinanza, ma riflettono anche il crescente disinteresse degli italiani verso i referendum e la politica in generale. La vera sfida sarà quella di mobilitare un numero sufficiente di elettori per raggiungere il quorum e far sì che questi referendum abbiano un esito significativo. Senza una forte partecipazione, il rischio è che questi strumenti di democrazia diretta continuino a perdere rilevanza nel panorama politico italiano.

Giulia De Sanctis

Laureata in Comunicazione e Valorizzazione del Patrimonio Artistico Contemporaneo, collaboro attivamente con riviste e testate web del settore culturale, enogastronomico, tempo libero e attualità.

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