“Sette anni di mandato del Presidente della Repubblica sono troppi”. Con questo virgolettato attribuito a diversi deputati e senatori italiani si apre un articolo del Tempo oggi in edicola. Insomma: Sergio Mattarella si è reinsediato al Quirinale nemmeno tre mesi fa a furor di Parlamento e c’è già qualcuno che vorrebbe fargli, istituzionalmente parlando, le scarpe. Ma è veramente così elevato il tempo in cui, in Italia, il Capo dello Stato ricopre il proprio ruolo.
Effettivamente, a ben guardare le altre democrazie occidentali, la durata è sempre inferiore a quella del nostro Paese. Emmanuel Macron, appena rieletto in Francia, dura cinque anni. Anche in Germania il presidente rimane in carica un quinquennio. Negli Stati Uniti, alla Casa Bianca, si resta quattro anni. Solo in Italia, in pratica, c’è il settennato. Senza contare che Giorgio Napolitano aveva di fatto chiuso la propria esperienza politica addirittura con un novennato (o novennale che dir si voglia) al Colle. Mattarella, a meno di impedimenti che ovviamente nessuno può auspicare, arriverà a 14 anni ininterrotti di mandato come Presidente della Repubblica.
Eppure, nel Partito democratico di Enrico Letta, c’è chi manovra per ridurre a quattro anni la permanenza al Quirinale. Si è iniziato da lontano: il senatore Luigi Zanda aveva presentato tempo fa un emendamento al ddl Concorrenza per ridurre i mandati dei commissari Consob e dei membri delle autorità indipendenti a quattro anni. Una specie di test, in fin dei conti, per sondare il terreno. E preparare il passo successivo. Lo stesso Zanda era stato colui il quale, nello scorso novembre, aveva presentato un disegno di legge costituzionale per vietare un secondo mandato presidenziale. Un’iniziativa che aveva mandato su tutte le furie lo staff della comunicazione del sempre mite attuale Capo dello Stato. Il sospetto era che la mossa poteva in qualche modo essere suggerita dal Quirinale stessa come un segnale inteso a dire: “Ok, Mattarella sarà l’ultima persona che avrà un bis al Colle. Poi, basta: nessun altro”.
Tutto parte, dunque, dal primo comma dell’articolo 85 della Costituzione. “Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni”. A questa modifica, si affiancherebbe anche quella dell’84: quello che indica il limite minimo di 50 anni di età per essere eletto presidente. Qualcuno addirittura maligna sul fatto che, riuscendo a portare da sette a quattro anni la durata del mandato presidenziale, l’attuale capo dello Stato potrebbe terminare il suo periodo quirinalizio al termine dei 48 mesi. Senza attendere gli 84 mesi previsti dalle regole attuali. Quindi con tre anni di anticipo rispetto alla scadenza prevista. Certo, sembrerebbe un modo molto ruvido per invogliare Mattarella a evitare la conclusione del secondo mandato prima della fine dei canonici sette anni. Anche se, in realtà, nessuno lo potrebbe obbligare a far terminare in anticipo la permanenza al Colle, in caso di una modifica della durata, sarebbe solo una “cortesia istituzionale”.
Qualcuno potrebbe sottolineare come il ruolo del Capo dello Stato, attualmente, duri di più di un’ordinaria legislatura parlamentare (cinque anni). Questa fu proprio l’intenzione originaria dei padri costituenti. In Italia, infatti, a differenze di quello che succede in molti altri Paesi, la carica di Presidente della Repubblica dura sette anni dal momento che, come i giudici costituzionali (nove anni di mandato), si parla di un ruolo di garanzia. Pertanto la maggior durata in carica consente di non legare eccessivamente il Presidente alla maggioranza che lo ha eletto. Oltre che a garantire un punto di stabilità fra le cariche dello Stato. Una garanzia istituzionale che rischierebbe seriamente di non sussistere qualora il suo mandato durasse solo quattro anni. Insomma: dal punto di vista costituzionale, scendere da sette a quattro anni potrebbe essere controproducente e minare l’imparzialità da “arbitro” dell’inquilino del Quirinale.
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