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POLITICA

Giorgia Meloni in Cina: le ragioni dietro il viaggio

Il viaggio di Giorgia Meloni in Cina servirà soprattutto a rilanciare le relazioni commerciali e a mitigare le conseguenze diplomatiche dell’uscita dell’Italia dalla “Via della Seta”

Da domenica 28 a mercoledì 31 luglio Giorgia Meloni è impegnata in una missione diplomatica in Cina. La parte più lunga e importante della visita sarà a Pechino, dove la presidente del Consiglio incontrerà, tra gli altri, il presidente Xi Jinping, il primo ministro Li Qiang e il presidente dell’Assemblea del popolo (il parlamento) Zhao Leji, uno dei più importanti dirigenti del Partito comunista cinese.

Giorgia Meloni si sposterà poi a Shangai, dove avrà dei colloqui con Chen Jining, ambizioso segretario del Partito comunista di Shangai e funzionario molto vicino allo stesso Xi.

Si tratta della prima visita di un capo di governo italiano in Cina dall’aprile 2019, quando era stato Giuseppe Conte ad andare a Pechino per partecipare a un forum internazionale sulla cosiddetta “Via della Seta”, il progetto di espansione commerciale e politica che da anni il regime di Xi porta avanti attraverso accordi con vari paesi del mondo.

Proprio gli sviluppi di quel progetto aiutano a comprendere le ragioni del viaggio di Meloni: che se da un lato è stata piuttosto determinata nel prendere le distanze dalla Cina su alcune importanti questioni, dall’altro non vuole rischiare di compromettere le relazioni commerciali tra Cina e Italia, fondamentali per molte imprese italiane.

Le motivazioni del viaggio in Cina di Giorgia Meloni

Nel marzo 2019, il primo governo Conte, supportato dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle, prese la sorprendente decisione di aderire alla Via della Seta, firmando un memorandum d’intesa commerciale che portava con sé un significativo peso diplomatico.

L’Italia divenne così l’unico paese del G7 e uno dei pochi fondatori dell’Unione Europea – e in quel momento l’unico dell’Europa occidentale oltre al Portogallo – a farlo. Questa scelta fu fortemente criticata dai diplomatici americani ed europei, che vedevano in quel progetto, presentato come commerciale, un tentativo della Cina di espandere la sua influenza politica in Occidente.

Il viaggio di Giorgia Meloni in Cina: le motivazioni – @Sean Kilpatrick/ZUMA Press – Newsby.it

 

Alcuni membri del Movimento 5 Stelle non nascosero il loro intento di utilizzare il memorandum per ottenere un vantaggio finanziario e commerciale con la Cina, in un periodo in cui il governo populista e sovranista di Conte era piuttosto isolato in Europa.

Con il passare del tempo, i limiti di quell’accordo sono diventati evidenti. Gli obiettivi di incremento delle esportazioni italiane in Cina, uno degli scopi dichiarati dal governo, non sono stati raggiunti; al contrario, le esportazioni cinesi verso l’Italia sono aumentate notevolmente.

L’accordo non ha portato vantaggi significativi sul piano commerciale, ma ha compromesso la reputazione diplomatica dell’Italia tra i suoi alleati occidentali. Continuando su questa linea, iniziata già con Mario Draghi, Meloni ha deciso di uscire dall’accordo nel dicembre scorso. Questo memorandum, di durata quinquennale, si sarebbe rinnovato automaticamente nel marzo del 2024 se non fosse stato disdetto.

La decisione di Meloni è stata senz’altro dettata da un desiderio di allineare nuovamente la politica estera dell’Italia con quella degli altri paesi del G7, assecondando in particolare le pressioni del governo statunitense, che continua a ritenere la Cina l’avversario più pericoloso in ambito economico e diplomatico.

Ma uscire dalla Via della Seta, dando dunque un dispiacere al regime di Xi, è stata una mossa delicata soprattutto perché si temeva, e si teme tuttora, che Xi possa voler reagire con ritorsioni commerciali: riducendo, cioè, gli scambi con l’Italia, e rendendo difficile, o impedendo, alle imprese italiane di lavorare e fare affari lì.

Per questo, prima di annunciare la decisione di non rinnovare il memorandum d’intesa, Meloni si era premurata di rilanciare il “Partenariato strategico globale”, un forum commerciale inaugurato dal governo di Silvio Berlusconi nel 2004 proprio per agevolare le relazioni commerciali tra Italia e Cina: era un modo, per Meloni, di ribadire la volontà di non compromettere le relazioni tra i due paesi nonostante la decisione di uscire dalla Via della Seta.

Lo scopo del viaggio, dichiarato dai suoi stessi collaboratori, va nella stessa direzione: rilanciare il rapporto bilaterale nei settori commerciali di comune interesse, con la probabile firma di accordi industriali nel settore automobilistico.

L’interscambio commerciale tra Italia e Cina nel 2023, secondo i dati citati dal governo italiano, è stato di 66,8 miliardi di euro, e questo fa della Cina il secondo partner commerciale extra-europeo per l’Italia dopo gli Stati Uniti.

Inoltre, in Cina operano oltre 1.600 aziende italiane, perlopiù nel settore del tessile, della meccanica, della farmaceutica, dell’energia e dell’industria pesante; il volume degli investimenti esteri diretti, cioè il volume di quote di capitale di aziende cinesi detenuti da soggetti italiani, è di circa 15 miliardi di euro.

Meloni discuterà principalmente di questi temi con Xi Jinping e Li Qiang, partecipando a eventi simbolici e celebrando importanti ricorrenze, come è consuetudine in tali incontri. Insieme al primo ministro cinese, Meloni inaugurerà il Business Forum Italia-Cina, un evento che mira a rafforzare il Partenariato Strategico, a vent’anni dalla sua creazione.

Inoltre, verrà spesso ricordata la figura dell’esploratore veneziano Marco Polo, il cui settimo centenario della morte cade quest’anno. Meloni, insieme al ministro della Cultura cinese Sun Yeli, inaugurerà una mostra a lui dedicata presso il World Art Museum di Pechino.

Oltre alle questioni commerciali, un altro tema centrale dei colloqui sarà la guerra in Ucraina. La Cina, pur mantenendo una posizione ambigua e una sorta di neutralità di facciata, è considerata un alleato chiave della Russia.

Tuttavia, recenti segnali indicano una possibile apertura del regime di Xi verso una soluzione: il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, è stato ricevuto dal suo omologo cinese Wang Yi a Guangzhou, e per la prima volta la Cina sembra disposta a facilitare un dialogo tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin.

L’Italia, pur avendo un peso minore nei negoziati internazionali, ha sostenuto fortemente la resistenza ucraina sotto la presidenza di turno del G7, e Meloni è interessata a comprendere le reali intenzioni di Xi riguardo al conflitto.

Come spesso accade nelle missioni diplomatiche in Cina, la visita sarà molto delicata. L’atteggiamento dei funzionari cinesi verso i leader occidentali è solitamente ambiguo e vagamente minaccioso.

La Cina ha interesse a mantenere relazioni con i paesi europei, pur considerandoli avversari a causa della loro alleanza con gli Stati Uniti. Allo stesso modo, gli europei riconoscono le opportunità offerte dal mercato cinese, ma sono anche estremamente cauti nelle loro interazioni con i leader cinesi.

Giulia Pompili ha raccontato sul Foglio che i membri della delegazione italiana sono stati consigliati dai dirigenti dell’intelligence italiana di non portare con sé i loro dispositivi elettronici abituali durante la visita, ma di utilizzare telefoni appositamente predisposti per l’occasione, con schede SIM alternative, per motivi di sicurezza.
Inoltre, l’intelligence ha suggerito a Meloni e ai suoi collaboratori di distruggere documenti e di non lasciare appunti scritti nelle stanze d’albergo o in altri luoghi dove potrebbero essere recuperati.
Queste raccomandazioni non sono da sottovalutare, soprattutto alla luce di episodi precedenti. Nel novembre 2022, durante il G20 a Bali, in Indonesia, Meloni ebbe un incontro piuttosto teso con Xi Jinping.
Inizialmente sembrava che Xi volesse evitare Meloni, noto per le sue posizioni critiche sulla Via della Seta, ma alla fine accettò un colloquio in tarda serata. Durante quell’incontro, la delegazione italiana lasciò accidentalmente incustodito un foglio con appunti su un accordo tra il governo cinese e l’azienda italo-francese ATR per l’acquisto di 250 aerei prodotti nello stabilimento di Pomigliano d’Arco. Questo incidente costrinse lo staff della presidenza del Consiglio a fornire spiegazioni sull’accordo.
Giulia De Sanctis

Laureata in Comunicazione e Valorizzazione del Patrimonio Artistico Contemporaneo, collaboro attivamente con riviste e testate web del settore culturale, enogastronomico, tempo libero e attualità.

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