Sta facendo parecchio discutere la proposta di legge presentata da Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera dei deputati, per sanzionare l’abuso dei forestierismi (prestiti da lingue diverse dall’italiano) da parte della pubblica amministrazione. Il testo, che è stato firmato da una ventina di esponenti di Fratelli d’Italia (FdI), imporrebbe di trasmettere tutte le comunicazioni pubbliche in italiano, richiederebbe di usare strumenti di traduzione o interpreti nel corso di ogni conferenza svolta nel Paese e vieterebbe l’utilizzo di sigle o denominazioni straniere per i ruoli all’interno delle aziende, a meno che non siano traducibili in italiano. Per i trasgressori sarebbero previste delle sanzioni amministrative da 5mila a 100mila euro. Nel testo si legge che la proposta si inserisce “in un’ottica di salvaguardia nazionale e di difesa identitaria”. Inoltre, sarebbe prevista l’istituzione di un Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana.
Previsti dei limiti anche per la scuola e l’università, nelle quali “le offerte formative che non sono specificamente rivolte all’apprendimento delle lingue straniere devono essere in lingua italiana”. Una simile modifica costringerebbe vari corsi di laurea stem (ma non solo) a rinunciare all’idea di proporre agli studenti delle lezioni in inglese, anche per prepararli al mondo accademico, dove la lingua di Albione permette a esperti di Paesi diversi di capirsi senza troppe difficoltà. Inoltre, la stragrande maggioranza degli studi pubblicati sulle riviste scientifiche internazionali sono scritti in inglese.
Paradossalmente, se la proposta presentata proposta da Rampelli dovesse diventare legge, il governo dovrebbe multarsi da solo per “abuso di forestierismi”. D’altronde è stato proprio il nuovo esecutivo a cambiare nome al Mise, trasformandolo nel “Ministero delle imprese e del made in Italy”, come hanno ricordato gli esponenti del Movimento 5 Stelle in commissione cultura alla Camera e al Senato. E, come rileva Nicola Mirenzi in un articolo sull’Huffington Post, anche nel programma elettorale con cui Fratelli d’Italia si è presentato alle scorse elezioni si trovano parecchi forestierismi, tra cui “flat tax”, “voucher” e “hub energetico europeo”. Ed è difficile dimenticarsi di quando Giorgia Meloni di autodefinì “underdog” della politica italiana pur essendo in testa ai sondaggi di popolarità da parecchi mesi.
Com’è ovvio, oltre a FdI anche tutti gli altri partiti hanno utilizzato dei termini inglesi o di altre lingue all’interno dei loro programmi elettorali e ne fanno ricorso abitualmente anche nel corso di occasioni come comizi, interventi in Parlamento ecc. La verità è che in un mondo sempre più connesso, anche grazie a Internet, appare assurdo battersi per mantenere “pura” una lingua. Esistono forestierismi di uso comune che sarebbe quasi impossibile tradurre in modo soddisfacente e senza creare confusione (basta pensare alla potenza di una espressione come déjà vu per rendersene conto). La proposta di Rampelli appare dunque quantomeno anacronistica e rimanda a un periodo storico in cui il tentativo di tradurre ogni termine proveniente da oltre i confini della Penisola produsse effetti tragicomici. Perché per ogni tramezzino (versione italiana di sandwich) ci sono almeno due bevande arlecchine (traduzione non proprio felice di cocktail).
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