È bastato un solo voto per affossare la legge sul suicidio assistito al Consiglio regionale del Veneto. A spingere verso il binario morto la proposta è stata una consigliera del Pd, Anna Maria Bigon, che in controtendenza rispetto ai colleghi di partito ha deciso di astenersi. Alla fine il pallottoliere segna 25 a 25. La spaccatura dei dem ha oscurato in parte quella ancora più profonda in seno alla maggioranza di centrodestra, con Fratelli d’Italia e Forza Italia che hanno votato contro e la Lega che ha proceduto in ordine in sparso, tra astensioni, voti contrari e a favore, in tutto 16, incluso quello del presidente della Regione Luca Zaia, che da subito ha annunciato il proprio sì lasciando però libertà di coscienza ai 30 consiglieri del Carroccio.
La proposta di iniziativa popolare, sostenuta da 9mila firme raccolte dall’Associazione Coscioni, è stata presentata in Veneto come in tutte le altre Regioni italiane con l’obiettivo di introdurre tempi e procedure certi per i malati terminali che chiedono di accedere al suicidio medicalmente assistito. Un intervento mirato a supplire a un Parlamento che, seppur sollecitato dalla Corte Costituzionale, tarda a legiferare in materia.
Il testo tra le altre cose impone alle Asl un termine massimo di 27 giorni entro il quale dare una risposta ai pazienti che vogliono ricorrere al trattamento per la morte volontaria. L’obiettivo è dunque quello di risparmiare ad altri malati le lunghe attese a cui tipicamente deve sottoporsi chi fa richiesta all’Azienda sanitaria locale.
La possibilità di rincorrere al suicidio medicalmente è garantita dal 2019, in forza della sentenza della Consulta sul caso di Fabiano Antoniani, “dj Fabo”, che ha fissato i requisiti per poter richiedere l’aiuto indiretto a morire (capacità di intendere e volere, patologia irreversibile, gravi sofferenze fisiche o psichiche, trattamenti di sostegno vitale).
L’esito del voto in Consiglio regionale a ben vedere era già annunciato. Bastava ascoltare l’intervento in aula prima della votazione della consigliera dem dissenziente. “Stiamo trattando uno degli aspetti più intimi della vita di un uomo, che ci grava di una grande responsabilità. Elemento indispensabile per garantire l’effettività dell’autodeterminazione di ogni persona è la disponibilità delle cure palliative, che vanno potenziate e che potrebbero ridurre le domande di suicidio medicalmente assistito”, ha scandito fra le altre cose Anna Maria Bigon, che è anche vicepresidente della commissione Sanità e vanta una solida formazione cattolica.
Lei dopo l’affossamento della legge si è schermita: “Non mi sono astenuta solo io e ci sono stati anche voti contrari. Non capisco perché il mio voto sarebbe stato determinante”. Un epilogo che ha avuto un inevitabile strascico sui social, con gli utenti che si sono detti “delusi” dalla consigliera: “Lei si dovrebbe vergognare a prendere i voti di un partito laico e di sinistra per fare il gioco della destra”, si legge tra l’altro.
Per il Partito democratico la bocciatura è fonte di imbarazzo. Mentre il segretario veronese Franco Bonfante ha promesso che “la storia non finisce qui”, annunciando la convocazione “a breve” di un “direttivo” per discutere la pratica, la capogruppo in Consiglio regionale Vanessa Camani si è detta “molto dispiaciuta” e “profondamente delusa”. E a Bigon non ha lesinato critiche: “Il rammarico sta nel fatto che la consigliera, pur consapevole che il suo voto avrebbe fatto da ago della bilancia, cosa che le è stata ricordata, non abbia optato per una scelta diversa, dimostrando così un atteggiamento non rispettoso e che acuisce le distanze all’interno del gruppo”.
Il voto in Veneto ha mostrato anche la spaccatura in seno al Carraccio, diviso tra la linea del segretario Matteo Salvini e la posizione del governatore Zaia. “La vita va tutelata dalla culla alla fine”, ha ribadito oggi il leader della Lega. Anche lui avrebbe votato no ma “la Lega non è una caserma, c’è libertà di pensiero. Per me è bene che sia finita così“, ha tagliato corto.
Non potrebbe essere più distante la posizione di Zaia. “Io sono per il rispetto della scelta individuale. Rispetto tutti ma vorrei essere libero di scegliere se dovesse capitare a me di trovarmi in una certa situazione”, ha ribadito oggi in un’intervista al Corriere della Sera.
Da qui il sì alla proposta di iniziativa popolare: “Serve normare nel dettaglio le procedure e i tempi, a tutela estrema del paziente, aspetti non contenuti nella sentenza della Consulta”. Il governatore se l’è presa “con chi nega l’evidenza, con gli ipocriti che fingono di non vedere che il suicidio assistito c’è già ma respingono la necessità di adottare una legge per regolamentarlo”.
Zaia ha anche ricordato che dal 2019 in Veneto sono state presentate sette richieste per l’accesso al suicidio assistito. Due quelle accolte dai comitati bioetici, inclusa quella di “Gloria”, la prima persona in Italia ad aver ottenuto la consegna del farmaco letale e della strumentazione necessaria all’auto somministrazione da parte dell’Azienda sanitaria locale.
Quella in Veneto, ha avvertito Zaia, è solo una battuta d’arresto. “Non si pensi di sfuggire al tema perché la palla adesso passa in tutte le altre Regioni. Vediamo se ci sarà qualcuno che riuscirà a dare una risposta che non si può eludere”.
Come il segretario, anche il governatore ha minimizzato le divisioni nella maggioranza e nel partito: “Non scherziamo. Dovevamo votare su un tema etico, non politico. Ognuno si è espresso secondo coscienza. Per quanto riguarda la Lega non abbiamo mai fatto una riunione per contare i voti. Avrei trovato vomitevole il contrario”. In Veneto “è uscita una rappresentazione della spaccatura che su questi temi vive l’intero Paese. Anche se in cuor loro, credo, i cittadini sarebbero favorevoli ad avere una legge”.
Intanto c’è già chi legge la divisione in chiave nazionale intravedendo all’orizzonte una contesa per la guida del Carroccio. Prova ne sarebbe la proposta depositata in Parlamento dalla Lega per alzare a tre il limite dei mandati dei presidenti di Regione. Un testo che sembra cucito addosso a Luca Zaia, attaccano i detrattori. Se approvata, la pdl consentirebbe al governatore, al timone del Veneto da quasi 14 anni, almeno un altro giro tenendolo lontano dalla segreteria nazionale.
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