La scelta della segretaria del PD, analoga a quella di altri leader politici, ha suscitato alcuni malumori, sia all’interno che all’esterno del Nazareno
È ufficiale: Elly Schlein, la segretaria del Partito Democratico (PD), correrà alle europee come capolista nelle circoscrizioni Centro e Isole. Si tratta di una scelta che nelle ultime ore ha suscitato alcuni malumori, sia all’interno sia all’esterno del Nazareno. Una delle critiche più aspre è arrivata da Romano Prodi, secondo il quale “chiedere il voto e poi non fare l’europarlamentare provoca ferite alla democrazia che scavano un fosso. Vale per Meloni, Schlein, Tajani e tutti gli altri”. D’altronde la Costituzione parla chiaro: l’incarico di europarlamentare non è compatibile con quello di assessore o consigliere regionale, nonché di membro del parlamento italiano. “Nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e ad una delle Camere del Parlamento, ad altro Consiglio o ad altra Giunta regionale, ovvero al Parlamento europeo”, stabilisce, infatti, l’articolo 122.
L’incompatibilità tra gli incarichi non ha mai rappresentato un grosso ostacolo alle candidature dei leader dei partiti alle elezioni europee, spesso fatte per sfruttare la risonanza di un nome importante e incrementare le probabilità del partito di accaparrarsi un buon numero di voti. Finora quest’anno abbiamo assistito a quelle di Antonio Tajani (capolista di Forza Italia in tutte le circoscrizioni tranne le isole), Elly Schlein (circoscrizioni Centro e Isole) ed Emma Bonino (circoscrizione Nord-Ovest). Secondo fonti parlamentari del centrodestra, la premier Giorgia Meloni dovrebbe annunciare la propria candidatura domenica 28 in chiusura dell’assemblea programmatica di Fratelli d’Italia a Pescara. Esclusa, invece, la “discesa in campo” di Arianna Meloni.
Il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha già confermato che non si candiderà alle Europee e ha espresso la propria contrarietà nei confronti di questo tipo di strategia. “Nella nostra comunità non è pensabile che uno esibisca il nome sulla scheda e poi non sia conseguente. Per noi è una presa in giro dei cittadini. Non è una questione di Schlein, ma anche di Meloni e altri leader. Farlo per acquisire qualche voto in più per noi è impensabile. Io non sarò candidato”, ha affermato l’ex presidente del Consiglio.
Anche cinque anni fa la situazione non fu troppo diversa. Matteo Salvini, in quel periodo vicepremier e ministro dell’Interno, si candidò a capolista della Lega in tutte le circoscrizioni. Anche Giorgia Meloni corse alle elezioni europee nonostante l’evidente incompatibilità del ruolo di europarlamentare con quelli già ricoperti di consigliere comunale di Roma e deputata. Situazione pressoché analoga anche per Emma Bonino e Nicola Fratoianni che si candidarono pur essendo, rispettivamente, senatrice e deputato.
A far discutere all’interno del PD non è solo la scelta di Schlein di candidarsi alle europee, ma anche la possibilità che sul simbolo del partito ci sia proprio il nome dell’attuale segretaria. La proposta, avanzata da Stefano Bonaccini, ha creato più divisioni del previsto. “Non sono dell’avviso che possa funzionare un modello di partito leaderistico”, ha dichiarato Peppe Provenzano. Gianni Cuperlo ha parlato di “una scelta non necessaria” e Annamaria Furlan di “una proposta che spacca il partito”. L’idea è però stata difesa dal capogruppo al Senato Francesco Boccia: “Penso che il nome della segretaria nel simbolo serva a confrontarsi con Giorgia Meloni e a garantire quel valore aggiunto che tutti riconoscono” a Schlein.
La stessa segretaria ha riconosciuto la natura divisiva della proposta di Bonaccini e ha deciso di presentare un simbolo del PD sul quale non è presente il suo nome.
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