Claudio Durigon, sottosegretario della Lega all’Economia, ha recentemente annunciato le sue dimissioni dal governo Draghi subito dopo avere incontrato il segretario del suo partito, Matteo Salvini. “Ho deciso di dimettermi dal mio incarico di governo che ho sempre svolto con massimo impegno, orgoglio e serietà”, dichiara in una lunga lettera diffusa dal suo partito. Una decisione assunta, aggiunge, “per uscire da una polemica che sta portando a calpestare tutti i valori in cui credo, a svilire e denigrare la mia memoria affettiva, a snaturare il ricordo di ciò che fecero i miei familiari proprio secondo quello spirito di comunità di cui oggi si avverte un rinnovato bisogno”.
Le polemiche riguardavano un comizio elettorale a Latina dello scorso 4 agosto. Durigon aveva proposto di revocare l’intitolazione del parco comunale ai giudici uccisi dalla mafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E di tornare a intitolarlo, come in passato, ad Arnaldo Mussolini, il fratello minore di Benito Mussolini. Diversi partiti, tra cui Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Liberi e Uguali, a quel punto avevano chiesto le sue dimissioni. Che sono arrivate dopo molte resistenze.
Nella storia della Repubblica Italiana tanti sono stati i casi di sottosegretari o viceministri che sono stati costretti alle dimissioni dal governo di cui facevano parte. Quello di Durigon, però, è forse uno dei rari casi di addio all’esecutivo per motivi che sono legati a una “gaffe” di una dichiarazione pubblica. Nel recente passato sono state più le inchieste giudiziarie a fare da “detonatore” a un componente del governo. Basti pensare al “tormentone” che agitò il Conte 1 nel maggio 2019 dopo la notizia dell’indagine per corruzione su Armando Siri (Trasporti). Il suo incarico venne poi revocato in Consiglio dei Ministri. Un altro sottosegretario leghista ai Trasporti (e sempre in quello stesso mese) si dimise pochissimi minuti dopo la condanna in primo grado per peculato e falso: Edoardo Rixi.
Scandali giudiziari colpirono anche Simona Vicari, sottosegretario al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del governo Gentiloni. Si dimise nel maggio 2017 dopo essere stata indagata per corruzione nell’ambito dell’inchiesta che aveva portato all’arresto del politico forzista Girolamo Fazio e dell’armatore Ettore Morace. Francesca Barracciu, sottosegretario ai Beni Culturali rinviata, fu rinviata a giudizio nell’ambito dell’inchiesta sull’uso improprio di fondi pubblici in Sardegna. Così, nell’ottobre 2015 non fece più parte del governo Renzi. Per non parlare di Nicola Cosentino, esponente di spicco di Forza Italia in Campania. Dopo tante pressioni si dimise da sottosegretario all’Economia del governo Berlusconi. Era al centro dell’attenzione mediatica per un’indagine per concorso esterno in associazione camorristica.
Non solo, però, indagini giudiziarie. Talvolta sono delle vere e proprie incompatibilità politiche a determinare lo strappo di un sottosegretario. L’esempio più fresco è quello di Ivan Scalfarotto come sottosegretario agli Esteri (insieme alle ministre Bellanova e Bonetti), nel gennaio 2021, in polemica all’azione del governo Conte 2. Poi ci fu anche il governo Letta a essere dilaniato da frizioni politiche interne. Michaela Biancofiore (Sport), Gianfranco Miccichè (Pubblica Amministrazione) e Jole Santelli (Lavoro) se ne andarono nell’autunno 2013 per seguire Berlusconi all’opposizione nella sua nuova Forza Italia. Era stata votata da poco la decadenza da senatore per via della condanna in via definitiva per frode fiscale. Sempre nello stesso esecutivo, nel gennaio 2014, fu invece il momento di Stefano Fassina (Economia). Si trovava in contrasto con la nuova linea del partito rappresentata dal nuovo segretario del Pd, Matteo Renzi.
Infine, il viceministro Adolfo Urso e i sottosegretari Antonio Buonfiglio e Roberto Menia seguirono Gianfranco Fini nella nuova avventura di Futuro e Libertà. Lasciarono così i propri incarichi del governo Berlusconi nel novembre 2010.
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