Conte dal Senato al Senato: tutte le differenze con il discorso del 2019

Dal Senato al Senato. Sono passati esattamente 518 giorni da quando Giuseppe Conte si presentò a Palazzo Madama per pronunciare il celebre discorso che concluse l’esperienza del governo gialloverde. Era il 20 agosto 2019 e, a distanza di un anno e cinque mesi quasi esatti, il luogo e il protagonista sono gli stessi. Ma tante cose sono cambiate.

Conte e le (mancate) dimissioni: le differenze con il governo giallorosso

Giuseppe Conte si è infatti recato al Senato per prendere la parola dallo stesso scranno da cui in quella estate del 2019, che appare ormai lontanissima, attaccò senza riserve il “suo” ministro dell’Interno. Quel Matteo Salvini che sedeva alla sua destra e poco fece per nascondere il proprio disappunto. A sinistra, allora come oggi, un pressoché impassibile Luigi Di Maio. E non è certo questo l’unico filo conduttore.

Il premier parlò per poco meno di un’ora: iniziò alle 15 e concluse il suo intervento alle 15:58. La frase più attesa arrivò circa a metà intervento: “L’azione del governo si arresta qui“. Proprio ciò che invece non è avvenuto il 19 gennaio 2021. Le condizioni di partenza, del resto, erano diverse. “Caro ministro, caro Matteo – disse Conte, in uno dei rari momenti in cui smise di fissare l’emiciclo e rivolse lo sguardo a Salvini. Se vuoi la crisi, ritira i ministri“. Ciò che, a tutti gli effetti, il numero uno della Lega non fece. E che ha invece fatto Matteo Renzi da leader di Italia Viva.

I “nomi e cognomi” e le conseguenze delle due crisi

La crisi porta la firma di Salvini. Se gli manca il coraggio politico, me lo assumo io davanti al Paese che ci sta guardando“, aveva asserito in precedenza lo stesso Conte. “Al culmine di alcune settimane di attacchi mediatici molto aspri e a tratti scomposti, alcuni esponenti di Italia Viva hanno anticipato e poi confermato di volersi smarcare dal percorso comune. Con questa crisi tutta la classe politica rischia di perdere il contatto con la realtà“, ha dichiarato invece quest’oggi. Il vecchio riferimento a “Nomi e cognomi, sdoganato poi in epoca di pandemia, e che nel giro di un anno e mezzo è passato da un leader di partito all’intera forza politica dissidente.

Dal presidente del Consiglio in entrambi i casi arrivò una sottolineatura sulla delicatezza del momento. “I comportamenti del ministro dell’Interno rivelano scarsa sensibilità istituzionale e una grave carenza di cultura costituzionale“, disse nel 2019 Conte dopo aver ricordato il rischio che senza un nuovo governo l’Italia andasse in esercizio provvisorio e scattasse l’aumento dell’Iva. “Questa crisi avviene in una fase cruciale del Paese, a pandemia ancora in corso. E io già ieri ho confessato di avvertire un certo disagio, perché sono qui oggi non per illustrare le misure di sostegno per cittadini e imprese, ma per provare a spiegare una crisi che i cittadini e io troviamo senza fondamento“, ha dichiarato invece nel 2021.

Dal passo indietro all’appello ai “costruttori”

Quindi, passaggio fondamentale, il modo in cui il premier Conte definì se stesso e illustrò le conseguenze del suo intervento in Senato. “Dissi che sarei stato l’avvocato del popolo. Per questo l’azione di governo finisce qui, andrò dal presidente della Repubblica per rassegnare le mie dimissioni da presidente del Consiglio“, le sue parole nel 2019. “Questo governo intende perseguire un progetto politico chiaro e preciso. Chi ha idee, progetti e volontà di farsi costruttore sappia che questo è il momento giusto per contribuire. Chiediamo alle forze parlamentari che hanno a cuore il destino dell’Italia di aiutarci a ripartire con la massima celerità“, il succo del discorso del 2021.

Giuseppe Conte l’oratore, Palazzo Madama la platea, 518 giorni il lasso temporale tra un discorso e l’altro. Eppure sembra trascorsa, politicamente, socialmente e forse anche culturalmente, una vita intera.

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