È solo un primo passo ma l’accordo raggiunto nella maggioranza sulla cancellazione del reato di abuso d’ufficio sembra ormai blindato dopo che ieri la commissione Giustizia del Senato ha dato luce verde all’articolo 1 del disegno di legge che porta la firma del Guardasigilli Carlo Nordio. Il via libera, con la bocciatura di tutti gli emendamenti del centrosinistra, è arrivato con i voti della maggioranza e di Italia Viva, il partito di Matteo Renzi. Il resto dell’opposizione si è schierata contro l’abolizione dell’abuso d’ufficio.
Peraltro è concreto il rischio che uscito dalla porta, il reato debba rientrare dalla finestra. A Bruxelles infatti è in discussione la direttiva europea anticorruzione che impone l’abuso d’ufficio negli ordinamenti degli Stati membri. Quando verrà approvata, “il reato dovrà essere reinserito”, prevede il capogruppo del Partito democratico nella commissione Alfredo Bazoli. Secondo i detrattori, l’abrogazione sarebbe in contrasto anche con i trattati internazionali e in particolare con la convenzione Onu di Merida sulla prevenzione della corruzione, che l’Italia ha ratificato nel 2009.
Criticità di cui sarebbe consapevole anche il Quirinale, che infatti avrebbe già fatto pervenire alla maggioranza le proprie osservazioni con l’invito a riformulare il testo.
Il sì della commissione Giustizia potrebbe aprire la strada alla “revisione” di “tutti i reati contro la pubblica amministrazione”. Sembra passata infatti la linea della presidente, la leghista Giulia Buongiorno, che del ddl Nordio è relatrice, secondo cui la cancellazione dell’abuso d’ufficio esporrebbe gli amministratori pubblici al rischio di vedersi contestati reati ben più gravi, come la corruzione. Di qui la necessità di rimettere mano a tutta la materia.
Le opposizioni sono sulle barricate. A cominciare dal Partito democratico. Con l’abrogazione dell’abuso d’ufficio, “resteranno senza sanzioni tante condotte prevaricatrici di pubblici funzionari compiute insieme a singoli cittadini” e questa per il Pd “è una cosa inaccettabile”, tuona il dem Bazoli.
Sul piede di guerra anche il Movimento 5 stelle, che con Roberto Scarpinato, senatore e ex magistrato, definisce “surreale e inquietante” discutere di un ddl “che vuole abrogare l’abuso d’ufficio, ridimensionare il reato di traffico influenza, diminuire in modi obliqui e occulti i poteri di indagine della magistratura sui reati dei colletti bianchi”, mentre “nel Paese si consolida la consapevolezza che la politica è divenuta la cinghia di trasmissione di interessi di potentati economici, lobby affaristiche, comitati di affari e cricche”.
Contraria all’abrogazione anche l’Associazione nazionale magistrati. Secondo il presidente Giuseppe Santalucia, la cancellazione del reato rischia spianare la strada alle “angherie del potere pubblico”.
Fuori dal coro nell’opposizione, Azione di Carlo Calenda. “L’abrogazione dell’abuso d’ufficio è sacrosanta” , osserva il deputato Enrico Costa, che spinge per la cancellazione dall’inizio della legislatura.
Dalla maggioranza di esulta, primo fra tutti Nordio, che parla di “reato evanescente”, la cui abrogazione è invocata “da tutti gli amministratori di ogni parte politica” e avrà “l’impatto favorevole sull’economia auspicato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni”.
La cancellazione dell’abuso d’ufficio è da sempre uno dei cavalli di battaglia del guardasigilli, prima ancora che smettesse la toga di magistrato. Secondo il ministro, si tratta di un reato dai contorni indefiniti che ingolfa i tribunali con procedimenti giudiziari che nella maggior parte dei casi si risolvono con l’archiviazione o l’assoluzione. Il bilancio secondo Nordio è un “fallimento”.
Il reato di abuso d’ufficio è previsto dall’articolo 323 del Codice penale e punisce chi causa un danno patrimoniale nell’esercizio delle proprie funzioni di pubblico ufficiale, ovvero approfitta del proprio incarico per “procurare intenzionalmente un ingiusto vantaggio” per sé o per altri, oppure per danneggiare ingiustamente qualcuno. A incappare nel reato sono tipicamente sindaci e amministratori locali. La pena prevista è la reclusione da uno a quattro anni.
Il reato è nel mirino da tempo dei primi cittadini di ogni segno politico perché, è la tesi, la formulazione, ampia e indefinita, si presta a interpretazioni troppo estese spianando la strada a inchieste che quasi mai conducono alla condanna. Da qui la cosiddetta “paura della firma” di molti amministratori che temono grane giudiziarie. I sindaci “non sono né per l’immunità né per l’impunità”, osserva il dem Antonio Decaro, presidente dell’Anci, l’Associaizione nazionale dei Comuni italiani. Chiedono piuttosto “la definizione di un perimetro certo per le responsabilità dei primi cittadini nell’ambito delle loro funzioni”.
E spiega: “Ogni giorno un sindaco deve decidere se firmare un atto, rischiando l’abuso di ufficio, o non firmarlo rischiando l’omissione in atti di ufficio”. La conseguenza è quella di rallentare la già elefantiaca macchina dell’amministrazione pubblica. “Noi non vogliamo sottrarci ai controlli”, ribadisce il sindaco di Bari, “ma servono leggi che ci permettano di lavorare”.
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