Wembley e i 60 mila allo stadio, l’ammissione: “Rischio focolaio c’è”

Alla gioia incontenibile del popolo italiano per la conquista della finale di Euro 2020 da parte della Nazionale di Roberto Mancini si accompagnano le immagini di festa dagli spalti di Wembley. Lo stadio di Londra che ha ospitato la semifinale contro la Spagna era abbondantemente occupato da tifosi in maglia azzurra, che dopo il rigore trasformato da Jorginho si sono lasciati andare a baci, abbracci e un clima di generale euforia. Forse fin troppa.

Wembley e la “fiducia con distinguo” del governo britannico

In queste ore sul tema si è espresso Kwasi Kwarteng, ministro delle Attività Produttive nel Regno Unito. Lo ha fatto in un’intervista concessa a ‘Radio Lbc’ e rilanciata dall’Ansa. E le sue dichiarazioni sui 60 mila spettatori ammessi sugli spalti di Wembley sono suonate quantomeno contradditorie. In particolare considerando che i focolai di Coronavirus alimentati dagli assembramenti negli stadi non sono certo una situazione inedita.

Il governo britannico, secondo le parole di Kwarteng, è “fiducioso” di poter tenere sotto controllo il rischio di un focolaio di contagi Covid. Questo nonostante la diffusione della variante Delta oltremanica, nonostante lo stop generalizzato alle restrizioni dal 19 luglio e l’ampio numero di spettatori ammessi a Wembley. Ma lo stesso ministro ha anche ammesso di dover fare un distinguo.

Il “margine di rischio” e il precedente di Atalanta-Valencia

Ritengo che saremo in grado di gestire il rischio. Tuttavia non possiamo dire che i rischi non esistono, quando migliaia e migliaia di persone si radunano in un luogo“, ha infatti ammesso. E sul caso di Wembley ha precisato che non esistono certezze nemmeno tra le fila del Governo. “Nella vita un margine di rischio c’è sempre. Sono fiducioso sul fatto che non ci sarà un grande focolaio. Ma è qualcosa che non possiamo garantire“, sono state le sue parole.

E dire che la situazione di Wembley è tutt’altro che inedita. Il 19 febbraio 2020 si disputò a San Siro una partita di Champions League, Atalanta-Valencia, che a posteriori si è rivelata un “super diffusore” del contagio. Addirittura sul tema è stata aperta un’inchiesta dalla Procura di Bergamo, per accertare chi si presentò allo stadio, da dove veniva, con chi è entrato in contatto e confrontare questi dati con chi ha contratto il Covid. Che, come noto, è stato estremamente severo sia in terra orobica che in terra levantina.

San Siro 2020 e Wembley 2021: cosa è cambiato da allora

Della vicenda si era occupata anche la trasmissione Rai ‘Report’, che già in data 9 novembre 2020 spiegò che oltre un quinto dei tifosi intervistati (ossia 7.800-8.200 persone presenti a San Siro per Atalanta-Valencia) presentò sintomi di Covid nelle due settimane successive. La maggior parte di loro (ma non tutti) risultò poi positiva al tampone. Ma all’epoca era il 19 febbraio, quando la portata della pandemia non era ancora chiara. Il primo caso italiano, quello di Codogno, risale infatti al 21 febbraio. E allo stadio, peraltro, c’erano meno persone rispetto a quelle di Wembley (43 mila spettatori, di cui oltre 36 mila bergamaschi).

Da quel giorno tanto è successo, e purtroppo le famiglie che hanno dovuto fare i conti con le tragiche scomparse dei loro cari hanno ampiamente raggiunto le sei cifre tanto in Italia quanto nel Regno Unito. Nel frattempo anche la campagna vaccinale ha raggiunto cifre importantissime, ma forse qualcuno si è dimenticato della necessaria prudenza. E ora i 60 mila di Wembley rischiano di fare davvero paura.

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