Come previsto, ieri la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, a trazione repubblicana, ha approvato l’apertura formale di un’inchiesta per l’impeachment del presidente Usa Joe Biden. Il partito accusa il capo della Casa Bianca di aver esercitato la propria influenza, quando era il numero due di Barack Obama tra il 2009 e il 2017, per agevolare i controversi affari all’estero del figlio Hunter.
“Joe Biden ha mentito ripetutamente al popolo statunitense”, ha attaccato James Comer, capo della Commissione d’inchiesta della Camera. Il presidente americano dal canto suo si è difeso bollando l’apertura dell’inchiesta per destituirlo come una “manovra politica senza fondamento”. I repubblicani “invece di fare qualcosa per aiutare a migliorare la vita degli americani, si concentrano sull’attaccarmi con bugie”. Il capo della minoranza democratica alla Camera Hakeem Jeffries gli ha fatto eco: “Non ci sono prove che il presidente Biden abbia commesso reati”.
I repubblicani sostengono invece che l’inchiesta porterà a galla le prove di attività illecite, spianando così la strada alla messa in stato d’accusa di Biden. “È arrivato il momento di dare delle risposte al popolo statunitense”, ha detto dopo il voto il presidente della Camera Mike Johnson.
Hunter Biden ieri mattina, alla vigilia del voto, si è presentato sulle scale del Campidoglio per smontare davanti alle telecamere le tesi dei repubblicani. “Non c’è alcuna prova a sostegno dell’accusa che mio padre sia stato coinvolto nei miei affari perché non è mai accaduto. Ma pensare che questo possa essere terreno d’indagine per l’impeachment di mio padre va otre l’assurdo: è vergognoso”, ha detto il figlio del presidente americano. “Nel punto più basso della mia dipendenza dalle droghe sono stato estremamente irresponsabile con le mie finanze”, ha ammesso il 53enne con un passato da tossicodipendenze e due inchieste aperte per evasione fiscale e possesso illegale di arma da fuoco.
Chiamato a testimoniare a porte chiuse alla Camera, il primogenito di Biden si è detto disposto a farlo solo in un’udienza pubblica. “Eccomi, sono qui: pronto a dare risposte a domande legittime che tutti devono poter ascoltare, senza manipolazioni”, ha detto. “Da sei anni sono nel mirino della macchina degli attacchi di Trump: non accetto che le mie parole siano usate – come i repubblicani stanno facendo da anni – per disinformare facendo trapelare pezzetti delle deposizioni selezionati in modo da accreditare ricostruzioni fuorvianti e false”.
“Non sta a lui decidere come deve essere interrogato, non ci facciamo imporre le regole da Hunter Biden”, ha rilanciato Comer. “Non gli faremo sconti perché è il figlio del presidente, chiederemo la sua incriminazione per oltraggio al Congresso”, ha annunciato.
Le probabilità che la procedura conduca all’impeachment del presidente sono prossime allo zero, visto che al Senato i democratici hanno la maggioranza. Nel pieno della campagna elettorale in vista del voto del 2024, il danno potrebbe essere soprattutto politico per il presidente democratico che aspira a un secondo mandato. Mentre i sondaggi danno l’81enne in affanno rispetto ai rivali repubblicani, le grane giudiziarie del figlio Hunter minacciano di intralciare seriamente la sua corsa verso la Casa Bianca.
In base alla Costituzione americana, il Congresso può mettere in stato di accusa e destituire il presidente per “tradimento, corruzione o altri reati gravi”.
La procedura si svolge in due fasi. Al termine dell’inchiesta la Camera dei rappresentanti vota, a maggioranza semplice, gli articoli di messa in stato d’accusa che descrivono nel dettaglio le imputazioni nei confronti del presidente. In caso di voto favorevole, il presidente viene processato al Senato. Al termine dei dibattiti, i cento senatori votano su ciascun articolo. Per condannarlo è necessaria la maggioranza dei due terzi. In questo caso l’impeachment è automatico e definitivo. Il Senato ha anche il potere di vietare che il presidente sotto processo possa in seguito ricoprire nuove cariche federali.
Finora nessun presidente statunitense è stato destituito. Nella storia degli Stati Uniti, la Camera ha approvato la messa in stato d’accusa di tre presidenti: Andrew Johnson nel 1868, Bill Clinton nel 1998 e Donald Trump nel 2019 e nel 2021. Ma tutti sono stati assolti. Richard Nixon nel 1974 ha preferito la via delle dimissioni per evitare una sicura destituzione a causa dello scandalo Watergate.
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