Da questa notte Joe Biden è ufficialmente il candidato democratico alla presidenza degli Stati Uniti. Si trattava solo di un passaggio formale, ma non privo di significato. Soprattutto quest’anno con una convention virtuale, senza il calore che accompagna tradizionalmente la nomina di un candidato. È pur sempre il momento del picco emotivo, in cui il partito formalmente si unisce dietro il proprio candidato. “È l’onore della mia vita accettare la nomination del partito democratico per la presidenza degli Stati Uniti d’America”, è stata la prima reazione su Twitter di Joe Biden.
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E la parola “unità” è probabilmente quella più pronunciata in questi giorni della convention, appena dopo il nome Trump e ovviamente Biden. Lo testimonia bene l’intervento di Alexandra Ocasio-Cortez, la deputata socialista di New York che ha chiesto la nomination per Bernie Sanders per poi promettere unità per la campagna elettorale di Joe Biden. Nel farlo mette dei paletti, perché nel “momento in cui milioni di americani cercando delle soluzioni vere”, dice Ocasio-Cortez, “noi vogliamo un futuro migliore, un movimento che garantisca una maggiore istruzione, assistenza, e ripari le ferite della ingiustizia razziale, la misoginia e l’omofobia, un movimento che riequilibri un’economia che moltiplica le disparità”.
L’agenda dell’ala sinistra del Partito Democratico che viene ripetuta a Biden, avvertendolo che l’unità d’azione promessa non sarà per sempre, ma che dovrà essere conquistata dal candidato ogni giorno. Si controllerà ogni sua parola da qui al prossimo 3 novembre, il giorno delle elezioni. Anche perché i sostenitori di Bernie Sanders, di Elizabeth Warren e della stessa Ocasio- Cortez si sono ritrovati come ticket presidenziale il centrista Joe Biden e la controversa (per la sua politica “legge e ordine”) Kamala Harris.
Si vira quindi al centro e il campione in questo senso trent’anni fa fu Bill Clinton. Il suo è stato l’altro atteso intervento e gli argomenti non sono cambiati, perché sempre attuali per la classe media: “Non vogliamo un Presidente che crolla come un castello di carta durante una crisi. Siamo l’unico Paese industrializzato”, ha aggiunto l’ex presidente, “ad aver triplicato la disoccupazione, per l’ostinazione di Trump a negare qualsiasi responsabilità. Abbiamo bisogno di un leader che guidi l’America. Joe Biden vuole costruire l’economia meglio di come è stata fatto. È lui il miglior Presidente per gli agricoltori, per chi lavora nell’assistenza, per i bambini, lui lavorerà perché la vostra pensione non sia rischio. Sapete cosa farebbe Trump per altri quattro anni: attaccare, dare la colpa agli altri, fare il bullo”.
Da ricordare gli interventi dell’altro ex presidente democratico, il 95enne Jimmy Carter e dello speaker della minoranza al Senato, Chuck Schumer. Quest’ultimo, dopo il voto di novembre, vorrebbe diventare speaker della maggioranza. La conquista di almeno 51 seggi al Senato è un traguardo per i democratici quasi altrettanto importante che conquistare la presidenza. I sondaggi non sono sfavorevoli e potrebbe, se ciò accadrà, inaugurare un periodo di totale predominio democratico.
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