Complici il montante sentimento anti-migranti, alimentato dalla politica e dalla crisi economica, la vita per i circa 3,3 milioni di rifugiati siriani in Turchia è sempre più complicata. Tanto che alcuni meditano di andare via, magari per raggiungere l’Europa o addirittura per tornare nel Paese da 12 anni in guerra.
La retorica nazionalista si è inasprita particolarmente a partire dallo scoro maggio, in occasione delle elezioni presidenziali, con i politici che additano i rifugiati come la causa dei mali che affliggono la Turchia.
Per chi vive a Istambul, poi, è iniziato il conto alla rovescia. Entro il 24 settembre tutti i rifugiati che sono registrati in altre province devono lasciare la città, secondo un’ordinanza emanata dal ministro dell’Interno turco lo scorso agosto. Nella città vive il più alto numero di rifugiati siriani, oltre 532mila, che lì hanno trovato maggiori opportunità di lavoro.
I siriani rifugiati in Turchia infatti ottengono una forma di protezione temporanea con una restrizione territoriale che li confina in un’area assegnata.
Tra di loro c’è anche un 32enne, che sta mettendo via i soldi per pagare i trafficanti e raggiungere il Belgio. All’origine della sua scelta, spiega, le difficoltà economiche causate dall’inflazione galoppante e la retorica anti-migranti.
“Siamo diventati il capro espiatorio del peggioramento dell’economia. La discriminazione è in aumento. Sta diventando impossibile per noi vivere qui“, ha raccontato l’uomo all’agenzia Reuters.
C’è chi invece pianifica di tornare in Siria, come un insegnante di 33 anni, che non può più permettersi di vivere a Istanbul con i suoi figli. “So che anche in Siria la situazione è brutta, ma qui per me è peggio”.
Difficile dire quanti degli oltre 3 milioni di siriani con un protezione temporanea in Turchia intendano lasciare il Paese.
Di certo, in vista delle elezioni locali in programma il prossimo marzo, secondo gli esperti la situazione non potrà che peggiorare. È prevedibile che il sentimento nazionalista dominerà la campagna dell’opposizione, con un inasprimento dell’ostilità nei confronti dei rifugiati.
“È probabile che la retorica anti-migranti aumenti a ridosso delle elezioni“, spiega Deniz Sert, professore associato di relazioni internazionali all’Università di Ozyegin.
Del resto è già successo in occasione delle elezioni presidenziali dello scorso maggio. Emblematico il caso di Kemal Kilicdaroglu, il leader della principale forza d’opposizione, il Partito popolare repubblicano (Chp), che durante la campagna per il ballottaggio ha promesso di rimandare a casa “10 milioni di profughi” siriani.
Dopo oltre dodici anni di guerra, l’economia della Siria è in ginocchio. Il tessuto produttivo è decimato, gli scioperi si susseguono, la disoccupazione è ai massimi storici, l’inflazione ha subìto un’impennata con i prezzi dei generi di prima necessità schizzati alle stelle.
Dei 22 milioni di persone che abitavano nel Paese mediorientale prima del conflitto, oggi circa 7,5 milioni sono sfollati interni e altrettanti sono rifugiati nei Paesi limitrofi. Oltre alla Turchia, Libano e Giordania.
Il devastante terremoto di magnitudo 7.7 che lo scorso febbraio ha colpito la regione nord occidentale del Paese, e la vicina Turchia, ha inferto il colpo di grazia. L’Agenzia Onu per rifugiati stima siano quasi 9 milioni le persone bisognose di aiuto.
Secondo le Nazioni Unite, il 90% della popolazione è scivolata sotto la soglia di povertà, mentre quasi 12 milioni di persone – oltre la metà della popolazione siriana – non hanno abbastanza cibo e altri 2,9 milioni rischiano di patire la fame.
Significativo che i siriani nelle ultime settimane siano tornati nelle piazze a protestare contro il governo del presidente Bashar al-Assad, non solo nell’area del nord-ovest, ultima roccaforte dell’opposizione in Siria, ma anche nella città di Sweida e di Daraa, alla periferia di Damasco. A fare da detonatore è stata la decisione di tagliare i sussidi per il carburante.
Sullo sfondo resta la brutalità del regime siriano. Arresti, torture e sparizioni forzate, come ampiamente documentato dall’Ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni Unite (Ocha) oltreché dal Syrian Network for Human Rights.
Secondo il Snhr, in particolare, dal 2011 a oggi sono quasi 113mila le persone di cui si è persa traccia in seguito all’arresto, inclusi oltre 3mila minori e circa 6.700 donne.
Intanto le ostilità, seppur a bassa intensità, proseguono interrotte. Nella zona nord-occidentale del Paese si registrano scontri quasi ogni giorno.
In un quadro simile, di fatto mancano le condizioni minime affinché i rifugiati possano fare ritorno in sicurezza nel proprio Paese.
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