Trump fa causa a Facebook, Twitter e Google: “Battaglia per la libertà”

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Sto presentando, come primo firmatario, un’importante azione legale collettiva contro i colossi della Big Tech, tra cui Facebook, Google e Twitter“. Così l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump annuncia di voler portare davanti alla corte i big dei social media dopo che questi hanno bandito i suoi account.

La causa di Trump contro le piattaforme social

La sua class action, spiega Trump, arriva “in collaborazione con l’America First Policy Institute“. Nel mirino, oltre a Facebook, Google e Twitter, “anche i loro Ceo, Mark Zuckerberg, Sundar Pichai e Jack Dorsey. Tre ragazzi davvero simpatici“, scherza l’ex presidente degli Stati Uniti. Il tutto è accompagnato dagli applausi della platea di Bedminster, nel New Jersey.

Chiediamo la fine della censura, la fine del silenziamento e la fine degli inserimenti in lista nera. Procedure che anche voi conoscete fin troppo bene“, aggiunge quindi Trump facendosi serio. “Il nostro caso proverà che questa censura è illegale, incostituzionale e totalmente anti americana“, aggiunge quindi il tycoon. Tornando quindi a battere sul suo cavallo di battaglia: i suoi nemici sono “contro l’America“.

Una battaglia “per la libertà dell’America”: la cronistoria

Lo sappiamo tutti. Lo sappiamo tutti molto, molto bene“, spiega ancora Trump. Noto per la sua propaganda basata anche sul fittissimo utilizzo di Twitter, l’ex presidente si vide cancellato il proprio profilo personale nel febbraio 2021 dopo numerose sospensioni. “Per i miei account chiederemo alla corte anche i danni nei confronti di queste mega compagnie. Penso che sarà un cambiamento fondamentale per il Paese“.

Sarà una battaglia fondamentale in difesa del Primo Emendamento. E sono sicuro che alla fine giungeremo ad una vittoria storica per la libertà americana. Ma anche, al contempo, per la libertà di parola“, conclude Trump. Lunghissima la sua battaglia contro le piattaforme social. Il primo blocco del suo account Twitter risale a ottobre 2020. Il profilo fu quindi chiuso nel successivo mese di gennaio, per essere definitivamente bandito circa un mese dopo.

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