Taiwan è la prossima? È questo interrogativo a dare il titolo a un lungo articolo del New York Times nel quale si ipotizza che la provincia separatista possa essere il prossimo territorio a ribellarsi alla dominazione cinese dopo Hong Kong. La conferma arriva dalla decisione del Dipartimento di Stato Usa, che di recente ha approvato la vendita a Taiwan di quaranta obici da 150 millimetri per 750 milioni di dollari.
Il Ministero degli Esteri di Taipei ha ringraziato Washington per il via libera, che consentirà all’isola di rafforzare le sue difese in caso di un’invasione da parte della Cina. È attesa ora la luce verde del Congresso, dove la difesa di Taiwan è una causa bipartisan. D’altro canto, però, la notizia ha generato forti malumori da parte di Pechino.
Armi a Taiwan, la dura reazione di Pechino
Il Ministero degli Esteri cinese ha reagito minacciando in una nota contromisure “legittime e necessarie”. Inoltre ha esortato gli Usa a “interrompere le interazioni militari con Taiwan e revocare immediatamente” la vendita. La mossa di Washington, prosegue la nota, “manda il segnale sbagliato alle forze separatiste” e “mette seriamente a repentaglio le relazioni tra Cina e Stati Uniti e la pace e la stabilità nello Stretto” taiwanese.
Taiwan è infatti soggetta a crescenti provocazioni militari cinesi, con voli pressoché quotidiani di aerei militari nella zona difesa da Taipei (capitale provvisoria dello Stato, in quanto quella ufficiale – Nanchino – si trova nella Cina continentale) e l’invio di draghe nelle sue acque. Pechino è determinata a riannettere il territorio e grande pubblicità è stata data alle manovre dell’esercito che ne simulano l’invasione.
Un’eventuale invasione cinese rischierebbe però di destabilizzare un delicato ‘risiko’ geopolitico. Gli Usa, ad esempio, accettano formalmente la sovranità cinese su Taiwan, che invece è riconosciuta in via ufficiale da 15 Stati sovrani nel mondo, fra cui la Santa Sede. Gli Stati Uniti, inoltre, non si sono mai impegnati a difendere l’isola da un’eventuale invasione ad esempio di Giappone, Corea del Sud e Filippine.
La strategia Usa della “ambiguità politica”
Quella adottata dalla Casa Bianca è la cosiddetta dottrina della “ambiguità strategica”. Che prevede comunque la vendita di armi a Taipei e l’opposizione a qualsiasi cambiamento del suo status ottenuto con la forza. Le forze armate di Taiwan, nonostante siano fra le più addestrate del mondo, non sono comparabili con quelle cinesi e hanno un equipaggiamento obsoleto.
In particolare per quanto riguarda l’aeronautica. Gli obici mobili sarebbero quindi uno strumento chiave nel fermare un’eventuale invasione, in quanto consentirebbero fuoco di artiglieria diretto sulle imbarcazioni per il trasporto di truppe e sulle spiagge dove potrebbero sbarcare i soldati di Pechino.
La decisione di Joe Biden segue quella dell’ex presidente Donald J. Trump. Durante il suo mandato, il tycoon aveva infatti approvato ingenti vendite di armamenti a Taiwan, comprendenti droni, aerei da combattimento di nuova generazione e piattaforme per il lancio di missili.
Hong Kong, vento di protesta soffia su Taipei
Ma questa situazione di precario equilibrio in che misura incide sulla popolazione taiwanese? Secondo il Nyt, le manifestazioni che hanno travolto Hong Kong potrebbero presto spostarsi nell’isola della Repubblica di Cina. Basti pensare che in questi anni molti giovani dell’isola hanno fornito supporto ai manifestanti hongkonghesi inviando soldi, elmetti, maschere anti gas e occhiali protettivi.
Altri hanno addirittura ospitato degli oppositori politici in fuga dall’ex colonia britannica e giunti sotto falso nome a Taipei. Dal Governo (eletto democraticamente) di Taiwan, invece, sono arrivati tanti attestati di solidarietà. Ma poche azioni. Intanto, fra i giovani attivisti pro-democrazia sta prendendo sempre più piede un motto, che lascia poco spazio ai dubbi. “Hong Kong oggi, Taiwan domani”.