Ore di altissima tensione a Ceuta, e in parte anche a Melilla, due città che costituiscono una piccola grande anomalia e una realtà molto particolare nella già decisamente frastagliata situazione dell’Africa nord-sahariana. I due centri sono infatti geograficamente posti nel territorio del Marocco, ma entrambi figurano come Città autonoma della Spagna. Ognuna delle due rappresenta peraltro un porto franco, cioè una zona economica libera. Ma il muro (con tanto di filo spinato) che le separa dal resto del continente rappresenta una realtà che, forse, non molti conoscono.
Ceuta gode delle attenzioni delle culture europee sin dal lontanissimo 42 d.C., quando i Romani ne presero il controllo. Da allora è stata soggetta alla dominazione cartaginese, romana, visigota e araba. Nel 1415 divenne quindi un possedimento portoghese, per essere definitivamente ceduta alla Spagna nel 1668. Da allora mai il governo iberico ha accettato di avviare alcun tipo di trattativa di passaggio della città al Marocco.
Situazione analoga per l’ex colonia fenicia di Melilla, che rimase colonia anche sotto Roma per iniziativa dell’imperatore romano Vespasiano nel 72 d.C. Il suo periodo di splendore si arrestò a causa di sanguinosi eventi storici, come il saccheggio per mano dei Vandali, la conquista islamica, l’incursione normanna che la distrusse. Sotto il controllo dei vari califfati che controllarono il Marocco nel corso dell’intero Medioevo, la Spagna la occupò nel 1497 nell’ambito della Reconquista. Sono quindi oltre 500 anni che il Marocco reclama invano l’annessione della città. Istanza ormai presentata alle istituzioni internazionali dal 1982. E proprio dopo tale data è stato eretto il fatidico muro. Che in realtà è costituito da due barriere, alte 7 metri, illuminate a giorno e con un fitto sistema di videosorveglianza. Non mancano inoltre i pattugliamenti incessanti della Guardia Civil.
La caratteristica delle due città, oltre al loro infinito bagaglio storico, è però costituito appunto dalle barriere architettoniche che le separano dal resto dell’Africa. I muri che la Spagna ha eretto tanto a Ceuta quanto a Melilla rendono fisicamente e visivamente chiaro a tutti che non si tratta di territori marocchini. E gli unici due confini “di terra” tra Africa ed Europa difficilmente valicabili. Ebbene, proprio due dei varchi frontalieri di Ceuta (Benzù e Tarajal II) stanno vivendo in queste ore la presenza di una massa di migranti mai vista prima. Si parla di circa 6mila persone.
La protesta nasce dalla decisione della Spagna di accogliere sul suo territorio Brahim Gali, Presidente della Repubblica Araba Sahrawi Democratica che ha contratto il Covid. Su di lui pesano però denunce gravi per violazione dei diritti umani ma anche per crimini di terrorismo, torture e genocidio. “Agiremo con fermezza di fronte a qualsiasi sfida e circostanza“, ha affermato Pedro Sánchez, capo del governo ma anche segretario del Partito Socialista Operaio Spagnolo.
Una riprova di un fatto che non sempre appare lampante nel mondo. Ossia che xenofobia e addirittura tardivi retaggi di colonialismo non sono una prerogativa di nazioni caratterizzate da governi conservatori, populisti e retrogradi. Se infatti negli Usa fu Donald Trump a puntare moltissimo sul muro al confine con il Messico, e in Ungheria è stato il governo Orban ad accelerare su questo fronte, resiste il caso della Spagna. Che nonostante una solida monarchia parlamentare e un governo basato su ideali progressisti e di centrosinistra, non rinuncia a respingimenti anche molto severi. Con tanto di ricorso a muri e sentinelle.
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