In seguito al terremoto del 6 febbraio, la Siria sta affrontando una situazione difficilissima. Come spiega Tammam Khwanda, uno degli architetti incaricati dal comune di Latakia, la città più devastata dal territorio in Siria, di verificare le condizioni delle abitazioni colpite, “è molto costoso ora ricostruire, noi arriviamo da una crisi del costo dei materiali e dal terremoto. Alcuni edifici si possono recuperare ma sono pochi, il 90% va ricostruito. Molti dei palazzi non si possono più ricostruire. Qualche settimana dopo il terremoto le persone sono tornate a viverci ma è pericoloso, solo che non hanno soldi per ristrutturare. Ci sono delle squadre per analizzare la situazione ma oltre 2100 case (il 50%) è a rischio. Il 30% sono a rischio medio. Il 10% si salva“.
Oltre ai costi esorbitanti per la ricostruzione delle abitazioni, in Siria ci sono anche dei problemi legati al reperimento dei beni di prima necessità. “Non abbiamo medicine, non abbiamo quelle per l’influenza, ma il tema non è quante ne abbiamo ma quali abbiamo. Non abbiamo antibiotici, le persone qui vivono tutte insieme, quindi se una persona è malata lo sono tutte – spiegano Haya e Nagham, due volontarie che, nel centro di accoglienza di Latakia per chi ha perduto la casa dopo il terremoto, hanno aperto un punto sanitario per donne e bambini, ma riscontrano il problema della mancanza di medicinali – All’inizio del terremoto abbiamo ricevuto moltissime medicine dalle persone, ma ora è difficile riceverne. Siamo qui per garantire un servizio sanitario e dare medicine in caso di bisogno, un punto sanitario per madri e bambini. Stiamo provato a creare uno spazio sicuro per i bambini sfollati dal terremoto“.
Nel centro di accoglienza di Latakia, alcuni sfollati hanno raccontato la propria esperienza. “Ci siamo spostati tre volte prima di venire qui. Ero sola, non mi sono preoccupata di me ma dei miei figli, ma per fortuna ora sono salvi“. “Io sono una persona malata, ho il diabete e ho avuto un ictus, quindi soffro e non è facile trovare medicine, anche prima del terremoto“. “È difficile uscire dalla confort zone, qui è un luogo pulito ma non c’è privacy, abbiamo bisogno di casa per essere a nostro agio“. Nel centro di accoglienza ci sono “45 famiglie, 160 persone, di cui 25 bambini” spiega Mai Rannous, di Syria Trust For Development, che insieme a Terre des Hommes gestisce il centro. “La cosa peggiore in questa situazione è che non sappiamo quando e se torneremo a casa nostra. Non ricordo un momento peggiore di questo per la Siria“, dicono gli sfollati.
Un’altra questione da non sottovalutare è quella della malnutrizione, soprattutto per quanto riguarda le fasce più giovani della popolazione. “Il problema è che il terremoto è arrivato in un Paese che era già in ginocchio, ha solo peggiorato la situazione, per questo c’è il panico, anche tra i bambini. I casi di malnutrizione facilmente aumentano in periodi come questo – a parlare è Ahmad Alchikh, direttore sanitario dell’ospedale pediatrico e neonatale di Aleppo – È difficile trovare il latte in polvere e le famiglie medie non se lo possono permettere. Sarc e le organizzazioni internazionali cercano di insegnare alle donne di fare allattamento al seno, ma purtroppo anche le mamme stesse sono malnutrite e non sempre riescono a coprire questo bisogno. Ci sono vari motivi per la malnutrizione, possono essere malattie personali ma nel caso di Aleppo è mancanza di alimentazione“.
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