Questi bombardamenti non solo influiscono sulla stabilità della Siria, ma hanno anche ripercussioni a livello regionale e internazionale
Negli ultimi anni, la Siria è stata teatro di un conflitto devastante che ha causato la morte di centinaia di migliaia di persone e ha portato a una crisi umanitaria senza precedenti. Mentre la guerra civile sembra aver subito una certa de-escalation, tre Paesi continuano a bombardare il territorio siriano, ciascuno per motivi distinti: Israele, Turchia e Stati Uniti. Questi bombardamenti non solo influiscono sulla stabilità della Siria, ma hanno anche ripercussioni a livello regionale e internazionale.
Dopo la caduta del regime di Bashar al Assad, la Russia, storicamente alleata del governo siriano, ha ridotto la propria presenza militare nel paese, segnando una fase nuova nel conflitto. Tuttavia, Israele ha approfittato di questa situazione per intensificare le proprie operazioni aeree, con l’obiettivo di prevenire l’installazione di forze armate anti israeliane ai propri confini. Israele ha condotto più di 250 bombardamenti in pochi giorni, colpendo obiettivi militari strategici e depositi di armi, tra cui presunti impianti di armi chimiche. Questa strategia è motivata dalla necessità di ridurre la minaccia rappresentata dall’Iran e da Hezbollah, che hanno utilizzato il territorio siriano per lanciare attacchi contro lo Stato ebraico.
L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha segnalato che le forze israeliane stanno mirando a “distruggere le più importanti strutture militari” della Siria, ma la posizione di Israele è complessa. Se da un lato la caduta di Assad potrebbe sembrare vantaggiosa, in quanto il regime precedente aveva facilitato l’influenza iraniana, dall’altro vi è l’incertezza su quali forze prenderanno il controllo del paese ora che il regime è in crisi. Questa ambiguità rende difficile per Israele prevedere il futuro politico della Siria e le potenziali minacce che potrebbe affrontare.
Parallelamente, la Turchia ha cercato di consolidare la propria influenza nel nord della Siria, attaccando le forze curde, che hanno approfittato del caos creato dalla guerra civile per stabilire un’amministrazione autonoma nel Rojava. Ankara considera le unità curde siriane come un’estensione del PKK, un gruppo terroristico con cui è in conflitto da decenni. Con l’esercito di Assad in difficoltà, la Turchia ha avviato bombardamenti contro le Forze democratiche siriane (SDF), alleate degli Stati Uniti. Questi attacchi sono stati particolarmente intensi nelle ultime settimane, con scontri significativi a Manbij, una città strategica vicino al confine turco.
La situazione si complica ulteriormente a causa del supporto statunitense alle SDF. Gli Stati Uniti hanno fornito armi e addestramento ai curdi siriani, rendendoli un alleato chiave nella lotta contro lo Stato Islamico. Sebbene il territorio controllato dall’ISIS sia stato ridotto al minimo, il gruppo terroristico è ancora attivo in alcune aree della Siria orientale, dove ha mantenuto cellule operative e capacità di attacco. Gli Stati Uniti continuano a condurre operazioni aeree contro queste formazioni, rendendo chiaro che la lotta contro il terrorismo rimane una priorità nella regione.
Il segretario di Stato americano Antony Blinken ha recentemente sottolineato l’importanza di mantenere la pressione su ISIS, affermando che “la storia mostra quanto rapidamente momenti di speranza possano trasformarsi in conflitto e violenza”. Gli Stati Uniti hanno anche una base militare a al Tanf, dove circa 900 soldati sono impegnati in operazioni antiterrorismo. Questo impegno dimostra che, nonostante la diminuzione dell’intensità del conflitto siriano, le tensioni rimangono elevate e la sicurezza della regione è ancora in pericolo.
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